Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Asco Holding, sulla fusione vince la linea leghista
Ma i sindaci dissidenti minacciano una denuncia per danni contro il Cda
Nello scontro interno ad Asco Holding, passa a maggioranza in assemblea la linea del Cda e dei sindaci di fede legista: avanza la fusione con la controllata Asco Tlc. Ma i sindaci dissidenti minacciano denunce per danni.
Un’indicazione su come gestire l’affaire Asco Holding, quantomeno, adesso c’è. I sindaci dei Comuni soci, che valgono il 61% del gruppo, si sono espressi optando per la soluzione della fusione tra la stessa Holding e la controllata Asco Tlc – e non per la fusione inversa nella quotata Ascopiave - conferendo il mandato al Consiglio di amministrazione di fare comunque in modo che l’operazione «avvenga nel rispetto del decreto Madia». Ossia di quella norma, intervenuta con decreto legislativo nel 2016 in materia di riordino delle partecipazioni in capo alle amministrazioni locali che, di fatto, ha costretto i sindaci ad assumere una decisione.
Ma se l’indirizzo prevalente è stato scelto, il modo in cui lo si è fatto non ha certo contribuito a rasserenare i rapporti fra i due gruppi contrapposti di amministratori, grosso modo divisi da una linea che separa quelli a trazione leghista (pro Asco Tlc) dagli altri, sostenitori invece, più o meno convintamente, della soluzione Ascopiave.
A salire di temperatura, soprattutto, sono stati gli attriti fra questi ultimi e il Cda stesso il quale, stando a quanto preannunciato da un drappello di sindaci dissidenti guidati da quello di Spresiano, Marco Della Pietra, oggi stesso potrebbe trovarsi destinatario di una denuncia penale. Il reato degli amministratori della Holding sarebbe quello di «avere compiuto, in violazione dei loro doveri, gravi irregolarità nella gestione, che possono arrecare danno alla società o a una o più società controllate». In altri termini di avere fatto diminuire, con mesi di incertezze, il valore delle azioni Ascopiave nelle cassaforti dei Comuni.
Per tornare alla votazione di ieri, comunque, i numeri parlano chiaro. A favore della fusione con Asco Tlc ha votato il 63,7% dei presenti (in tutto 77), titolari del 58,4% del capitale sociale. Maggioranza netta, insomma, ma ben lontana da una tendenziale unanimità che si auspica sempre in momenti così delicati.
Il voto è avvenuto in un clima peraltro esacerbato da un’inspiegabile diatriba sulle regole che avrebbero dovuto disciplinare la consultazione stessa. I punti all’ordine del giorno che riguardavano la fusione erano due, l’uno pro Ascopiave (già proposto senza essere stato accolto nelle due precedenti assemblee) e l’altro pro Tlc. Il presidente, Giorgio Della Giustina, ritenendoli perfettamente alternativi, ha proposto che ciascun sindaco o delegato si esprimesse una sola volta, indicando la scelta. Ma molti dei presenti, giudicando illegittimo questo modo di procedere, hanno chiesto invece due votazioni separate.
Alla fine si è votato su come votare e la proposta del presidente è stata accolta, sempre a stretta maggioranza. Parto difficile, quindi, per una indicazione sulla quale pende pure un verdetto del Tar del Veneto su ricorso presentato dal socio privato Plavisgas (8,6%), sempre contro il Cda e sempre per i danni che la scelta di una fusione con Asco Tlc potrebbe arrecare alle casse dei Comuni.
Però, se ci fosse la fusione con Ascopiave - ricordano gli attuali amministratori -, si rischierebbe di dover lanciare un’Opa, che altro non sarebbe che un cavallo di Troia per l’assalto dei privati. E dunque, per dirla con Enrico Marchi, presidente di Finint, in veste di advisor incaricato dalla Holding di studiare il progetto migliore, si arriverebbe «alla dissoluzione di Ascopiave ai fini di una massima monetizzazione da parte di chi non ha prospettive di carattere industriale». «Mi sembra che il Cda sia troppo convinto di aver ragione – è invece il pensiero di Oscar Marchetto, socio di Plavisgas – e in quello che ho sentito oggi intuisco che ci sono molte cose che non funzionano».