Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Vinitaly più business e crescita del «green»
Kermesse di aprile a Veronafiere. Focus sull’export, timori sui dazi
Vinitaly, conto alla rovescia per la grande vetrina veronese che si terrà in fiera dal 15 al 18 aprile. L’edizione è stata presentata ieri a Roma: 4.300 espositori da 33 Paesi, 13 mila vini diversi. Focus sull’export. In ascesa l’offerta green.
Italian superpower in bottiglia. Abbiamo appena registrato il record storico di export vinicolo nazionale (5,9 miliardi di euro nel 2017 secondo l’Istat) ed è ora di festeggiare con la 52esima edizione del «Vinitaly». Dal 15 al 18 aprile prossimi la grande vetrina veronese sciorinerà numeri adeguati alla sua fama: 4.300 espositori da 33 Paesi, 13 mila vini diversi e una presenza straniera, in termini di aziende che hanno prenotato uno stand, in crescita del 25%. In ascesa anche l’offerta «green», con le aree «VinitalyBio», «Vivit» e quella per i Vignaioli indipendenti.
Ma, dismessi i panni del mega salone rivolto a un pubblico generalista, «Vinitaly» continuerà a perseguire la svolta intrapresa a partire dal 2015. «Siamo tra i pochi nel nostro mondo ad aver fatto la scelta di diminuire i visitatori» rimarca il presidente di Veronafiere, Maurizio Danese. E in effetti siamo passati dai 150 mila di tre anni fa ai 128 mila dello scorso anno. Più operatori, più business, meno frequentatori «ludici».
Ci sarà un’ulteriore riduzione? «La nostra capacità di ricevere visitatori è notevole, il problema non è quanti, ma quali visitatori. Continueremo a ridurre nel senso che, se tra loro ci sono ancora quelli che chiamiamo wine lovers, cercheremo di convincerli che è più conveniente partecipare agli eventi del Vinitaly&the City, dove avranno più possibilità di degustare e divertirsi». Il Fuori salone (dal 13 al 16 aprile) si allarga nelle piazze del centro veronese e si espande in provincia (Soave e Valeggio sul Mincio, oltre a Bardolino), con l’obiettivo di decongestionare i padiglioni fieristici.
«Vinitaly» sarà sempre più internazionale, perché c’è un intero settore da accompagnare nella grande battaglia dei mercati e non è il caso di addormentarsi sui primati, come consiglia lo studio commissionato a «Wine MonitorNomisma» e che ha accompagnato ieri la presentazione romana della fiera veronese.
Il Made in Italy vinicolo ha vissuto una grande cavalcata, oggi è leader in 16 Paesi del mondo e tanto lo deve ai successi delle cantine venete, basti pensare al +240% di vendite all’estero di bollicine nell’ultimo decennio. Ed è inutile ribadire che c’è tanto Prosecco in questo fenomeno.
Denis Pantini di Nomisma la vede così: «Le nostre previsioni vedono una crescita decisa del nostro export vinicolo nei prossimi cinque anni in Cina (+38,5%), Russia (+27,5%) e Giappone (+10%), mentre è possibile una stagnazione in altri due grandi mercati, Gran Bretagna e Germania. La prima per effetto della Brexit e la seconda per una tendenza alla riduzione dei consumi che è (anche) conseguenza dell’invecchiamento della popolazione». Ma attenzione: le percentuali non dicono tutto, «in Cina siamo ancora marginali e negli Stati Uniti, dove il vino italiano ha aumentato esponenzialmente le vendite, abbiamo ulteriori margini di crescita. Noi li vediamo nell’ordine del 22,5% nel prossimo quinquennio».
Tutto, sempre, al netto delle spericolatezze di mister Trump. Ed è per questo che il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani, dà enfasi all’ospite d’onore di «Opera Wine» che, nel palazzo della Gran Guardia, farà anche quest’anno da evento-anteprima, sabato 14 aprile, del Vinitaly. «Ci sarà l’ambasciatore degli Stati Uniti» annuncia. Le diplomazie si giocano intorno a un bicchiere e qui c’è da scongiurare una guerra dei dazi che vale, solo per le cantine italiane, 1,6 miliardi di euro in valore.
«Vogliamo essere lo strumento a disposizione dei nostri espositori — riprende il presidente Danese — Abbiamo grande qualità nella vigna e nella bottiglia, ma questo non è supportato dal giusto valore di vendita. Nei mercati maturi come gli Usa il consumatore è in grado già di percepire la grande biodiversità dei nostri vini e delle nostre 524 denominazioni, mentre in Paesi come la Cina risulta molto più difficile riuscire a comunicare questo. Stati come il Cile o l’Argentina parlano con una voce sola ed hanno dieci grandi produttori che riescono a gestire da soli le strategie, mentre da noi dobbiamo mettere insieme 310 mila aziende agricole. Tutto ciò significa grande territorialità, ma anche difficoltà ad esprimerla. E questo è il compito che ci assumiamo». Insomma, insiste Mantovani, «lavoreremo sempre più all’estero, anche in stretta collaborazione con l’Ice».
Intanto, si punta una bandierina del digitale, anche nel senso più sofisticato della profilazione dei dati al servizio delle aziende-clienti: nasce «Vinitaly Directory», portale in tre lingue (anche il cinese) in cui i 4.300 espositori potranno prolungare virtualmente per tutto l’anno la loro offerta espositiva.
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