Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
VINO, IL PIL DELLA QUALITÀ
«Anche al semplic e curioso balzerà agli occhi la differenza con altre manifestazioni fieristiche di altri settori alimentari. Il clima di attenzione gioiosa nei confronti del visitatore che si avverte negli stands, garantito dalle frequenti, necessarie libagioni; la frenesia, il movimento, il brusio che richiamano aspetti paesani delle fiere di un tempo antico…». Era il 1992, Piero Sardo, attuale presidente della Fondazione Slow food, descriveva così l’evento di Verona nell’editoriale di un giornale con la testata «Vinitaly News», in cui comparivano le firme di Gianni Mura, Davide Paolini e molti altri. C’era la convinzione che la fiera fosse solo l’evoluzione economica di una sagra, o poco più. «Un momento effervescente, vitale, anche se piccolo della vita economica e gastronomica», scriveva Sardo.
Il Vinitaly, arrivato quest’anno alla edizione numero 52, è diventato invece una gioiosa macchina da guerra degli affari. Alfiere di un comparto che esporta 5,4 miliardi di euro, che spinge in avanti il Pil del Nordest, con i distretti del Prosecco e della Valpolicella, e dell’Italia. Negli anni è quasi svanito l’aspetto ludico. Appartengono al passato le ore di bicchierate e salumi che facevano intonare canti a protagonisti del Rinascimento enologico italiano.
Banchetti come quelli di Giacomo Bologna (Braida), nel suo stand sempre affollato di nobiluomini, per un giorno tutt’altro che compassati, accanto a contadini «duri e lividi e con le pezze al culo», come li descriveva, ammirato, il più grande dei critici enologici del Novecento, Luigi Veronelli.
Il Vinitaly è l’unica fiera al mondo che vuole perdere visitatori. Non perché intenda smarrire la sua storia, iniziata con le «Giornate del vino» in cui arrivavano a Verona poche centina di operatori e visitatori. C’è bisogno di tener testa alle altre fiere a numero chiuso, riservate solo agli operatori, come la tedesca Prowein. C’è bisogno di meno convivialità e più tranquillità, per far assaggiare i vini a agenti, ristoratori, sommelier che arrivano da tutto il mondo. L’anno scorso i visitatori sono scesi a quota 128 mila, dopo aver toccato i 130 mila nel 2016. Un piccolo calo che però dimostra la volontà di privilegiare l’accoglienza dei rappresentanti degli affari di 142 nazioni.
Ventisei anni fa, quando uscì il numero di «Vinitaly News» (una copia l’ha conservata e portata a Verona Cesare Pillon, il decano dei