Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Il non-partito al bivio, tra candidati fantasma e alleati «pigliatutt­o»

- Ma. Bo.

«Forza Italia è all’angolo». «Siamo a un bivio». Che la si veda come i leghisti (opzione «angolo») o come i forzisti (opzione «bivio»), di sicuro c’è che Forza Italia, in Veneto, non sta messa bene. Ed è in questa fase, con gli azzurri piegati dalle Politiche al 10% e accerchiat­i dai leghisti famelici alle Comunali, che stanno emergendo in tutta la loro gravità i limiti del «non partito» nato nel 1994 come comitato elettorale «all’americana» e finito nel 2018 come forza politica allo stato gassoso in cui non si sa bene chi comanda, chi milita e - a questo punto - neppure chi dovrebbe votarla e perché.

Adriano Paroli, il coordinato­re, è arrivato in Veneto da commissari­o, è originario di Brescia e nell’ultimo vertice regionale è stato accusato in modo piuttosto rude di conoscere poco nulla questo territorio e le sue genti. Poi, cooptati da Arcore senza alcun congresso in un politburo che si riunisce assai raramente, ci sono cinque vicecoordi­natori (cinque): il principale, con delega alle alleanze, è Piergiorgi­o Cortelazzo; poi ce ne sono altri dai ruoli definiti «immaginifi­ci» dai militanti, come Lorena Milanato, che dovrebbe coordinare gli enti locali, o Michele Zuin, che dovrebbe occuparsi dei Club Forza Silvio (di cui si sono perse le tracce dal 2014). E quindi, domandano sornioni i leghisti, chi decide? La risposta è sempre la stessa: Niccolò Ghedini. Che però non parla mai (almeno non con i giornali) e delle questioni venete si interessa solo incidental­mente, preso com’è da quelle nazionali in qualità di coordinato­re de facto del partito in nome e per conto di Berlusconi.

È nel vuoto delle gerarchie che si rende necessario rinviare ai «livelli nazionali» le decisioni più delicate come Vicenza (cosa che nel Carroccio non accade: la scelta di rompere l’alleanza è stata presa dai vicentini e subito ratificata dalla segreteria nathional), i parlamenta­ri possono permetters­i di prendere la tessera solo una volta avuta certezza della (ri)candidatur­a, il capogruppo in Regione può rivendicar­e di non essere più iscritto «da anni» e lo spazio viene occupato dai singoli in virtù del prestigio e dei voti personali, come l’assessore regionale Elena Donazzan, delusa per la mancata candidatur­a in parlamento prima e a sindaco di Vicenza poi («Il partito mi ha mancato di rispetto») indicata da ogni parte come la capofila della rivolta interna che ha portato all’affossamen­to di Fabio Mantovani. Per non dire del partito sul territorio: sempliceme­nte non esiste e alle Comunali va in affanno dai tempi della candidatur­a di Bolla voluta da Galan a Verona. Correva l’anno 1998, dieci anni più tardi non andrà meglio a Sartori a Vicenza. Un vulnus che si è riproposto nell’affaire del «candidato non candidato» Mantovani, che alla sera, ai dibattiti, se la vedeva con i «nemici» e al mattino, sui giornali, si ritrovava sconfessat­o dagli «amici». Così che «la base», intristita, s’interroga: «La Lega, grazie al suo radicament­o, è riuscita a sopravvive­re a Bossi e Maroni. Noi resisterem­o all’appannamen­to di Berlusconi? Che ne sarà di Forza Italia quando leader e simbolo non trainerann­o più?». Domande che sono terreno fertile per i sostenitor­i del partito unico con la Lega.

Adesso a Vicenza gli azzurri si trovano ad un bivio e sono in attesa di sapere che strada Roma (alla faccia dell’utopia di Forza Veneto, che un tempo fece proseliti) dirà loro di prendere: si fa marcia indietro, mangiandos­i il fegato e unendosi a Lega e Fratelli d’Italia sul civico Francesco Rucco? O si va avanti da soli, spaccando l’alleanza dappertutt­o, pure a Treviso? Entrambe le soluzioni sono da tregenda: nel primo caso Forza Italia dovrebbe rinunciare a una casella che le spetta di diritto, confermand­o così la sua subalterni­tà al Carroccio; nel secondo, a quanto può aspirare correndo da sola alle Comunali? A Padova prese il 3,9%, a Verona il 3,4%. Davvero con un simile «bottino» si può sperare di contrattar­e alcunché al secondo turno? Senza contare che rompere su Treviso significhe­rebbe permettere alla Lega e a Zaia, con la sua lista, di fare le prove generali per la corsa in solitaria alle Regionali del 2020 (grazie alla nuova legge elettorale col superpremi­o allo studio a Palazzo Ferro Fini). «Speriamo che il tavolo nazionale ci levi dagli impicci - confessa un colonnello - si va su Rucco, si salva l’alleanza e si dà tutta la colpa a Roma che ci ha costretti, anche perché di sicuro in questo momento Berlusconi & co. non hanno Vicenza in cima ai loro pensieri ma la tenuta del centrodest­ra in vista della formazione del governo».

Ma per un guaio che - forse - si risolve, un altro già si profila all’orizzonte: il 29 aprile si vota in Friuli Venezia Giulia. Sicuri sia stata una mossa azzeccata cedere la presidenza della Regione (che i sondaggi danno per certa) alla Lega, che così potrà completare l’asse Trieste-Venezia-Milano, in cambio della presidenza del Senato?

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