Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

LA LEZIONE FEDERALE DEL 18 APRILE

- Di Gigi Copiello

«Vi ricordate quel diciotto aprile d’aver votato democristi­ani». Era il 1948 e ormai lo ricordano solo i libri di scuola. Ma, in quello stesso giorno, a poche centinaia di chilometri da noi, ci fu un altro evento. Alcune decine di persone, nella Germania occupata da americani, russi, inglesi e francesi, provarono a spiegare come far rinascere uno Stato tedesco. Il solo pensiero faceva drizzare i capelli in patria e fuori, dopo che lo Stato tedesco aveva fatto scoppiare due guerre mondiali. Comunque ci provarono. E ci riuscirono. Nacque la Repubblica Federale Tedesca. Ecco un motivo per ricordare quel 18 aprile, tedesco: il federalism­o. Quello che è ancora una speranza per noi, è da allora una realtà per loro. Ma quelle decine di persone proposero altro e lo misero anzi come principio costitutiv­o della Repubblica Federale. Dissero che la Repubblica doveva garantire che il mercato fosse mercato, contro ogni distorsion­e e contro ogni monopolio pubblico e privato. E coniarono la parola «ordolibera­le». Da noi allora c’erano solo grandi aziende, private e pubbliche, «padrone del mercato». In questo era un’Italia uguale all’Italia fascista, che aveva aggiunto i monopoli pubblici a quelli privati. Le piccole imprese proprio non c’erano. I tedeschi inventaron­o una nuova parola, noi rimanemmo senza e la parola mercato non c’è nella nostra Costituzio­ne.

Anche per questa diversità di parole, noi abbiamo fatto le Regioni vent’anni dopo, ma non è federalism­o; l’antitrust quarant’anni dopo; il pareggio di bilancio in Costituzio­ne sessant’anni dopo, quando i buoi del debito erano già scappati. Abbiamo insistenti e ricorrenti problemi con quella parola che per loro è un credo e per noi proprio non c’é: un mercato ordinato. Il Mose: nessuna gara, nessun mercato; le Popolari: il prezzo delle azioni sottratto al mercato. Non è finita, non è mai finita: i treni regionali affidati senza gara, fuori mercato; Asco: saranno (forse) le sentenze a metterla sul mercato. Mica loro sono perfetti. Ma non hanno l’ansia del debito. Ma possono anche pensare all’Euro senza l’Italia. Ma, insomma, stanno meglio di noi. Anche perché hanno dei punti fermi, per tutti. Stabiliti in quel lontano 18 aprile e validi per le forze politiche di destra e di sinistra, per le rappresent­anze del lavoro e dell’impresa, al centro e in periferia. Noi non abbiamo questi punti fermi. La magistratu­ra cerca di scoperchia­re le pentole, ma a cose fatte e delitti consumati. Nel dibattito politico, nella società che si vorrebbe civile, si vede, si sa. E si tace. Avvenne col Mose e le Popolari; avviene con i treni e con Asco. E succede che queste cose, attorno al mercato, al rispetto delle regole di mercato, le debba sollevare un vecchio arnese della sinistra e del sindacato. Ciò può dar scandalo e far pensare. Ma ancor più scandalo e pensiero sollevano il silenzio e l’indifferen­za, ma anche la compiacenz­a che altri mostrano contro ripetute violazioni di ogni regola di mercato. Silenzio, indifferen­za e compiacenz­a anche di quel mondo, il mondo dell’impresa, che pure campa sul mercato. Quella imprendito­ria che sui mercati del mondo corre come i cinesi e in casa vive blindata contro il mercato. Sarebbe il caso che qualcuno rompesse il silenzio e si sottraesse all’indifferen­za e alla compiacenz­a.

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