Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Cinquecento bimbi salvati dai trapianti Il record padovano
Il piccolo Antonino era iperattivo, correva avanti e indietro salutando gli sconosciuti. Ha due anni e il 13 gennaio ha subito un trapianto di rene. Soffriva di una malformazione ereditaria, diagnosticata dai medici mentre ancora era nella pancia della mamma. «Abbiamo deciso di venire a Padova dalla Sicilia perché sapevamo che questo era un buon centro. La paura ovviamente era tanta ma è andato tutto bene» ha raccontato la mamma al centro San Gaetano durante l’evento per festeggiare i 30 anni della nefrologia pediatrica.«Il primo trapianto è stato il 15 ottobre 1987 e ora abbiamo superato i 500» spiega la dottoressa Luisa Murer, direttrice di nefrologia pediatrica.
I record per questo reparto sono all’ordine del giorno: a Padova, infatti, è stato effettuato il trapianto sul bambino più piccolo in Europa. Aveva 6 mesi e pesava quattro chili e mezzo («Normalmente si trapianta dai 7 o 8 chili in su» puntualizza Murer). Adesso ha 19 anni e sta bene. «La nostra forza è la ricerca: siamo stati tra i primi a dotarci di un laboratorio di immunopatologia molecolare che permette di effettuare le biopsie di protocollo. Così possiamo studiare la malattia e intervenire nel modo più corretto» continua Murer. Oggi quasi nessun paziente rigetta il rene trapiantato e stanno aumentando le donazioni da persona vivente.
Non è solo una questione di eseguire interventi correttamente. Medici e i infermieri seguono i piccoli pazienti e le loro famiglie durante tutto l’iter della malattia, anche fuori dall’ospedale. Dal 2012 vengono organizzati dei viaggi con i salesiani per non far sentire soli quelli che hanno vissuto l’incubo della malattia. «In qualche modo cerchiamo di ricomporre un tessuto sociale attorno al malato. La malattia si può sconfiggere ma è più facile a dirsi che a farsi, soprattutto per bambini e adolescenti che devono crescere. Anche se devo ammettere che spesso si dimostrano più forti di noi» dice don Silvio, responsabile del movimento giovanile dei salesiani. Ognuno fa la sua parte per non far sentire soli i pazienti: uno degli infermieri intrattiene i bambini con l’ukulele durante la dialisi, che può durare ore, un’altra li fa disegnare o li aiuta con i compiti. Il mantra della dottoressa Murer e della sua squadra è «Prima che pazienti sono esseri umani e dobbiamo trattarli con umanità».