Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Piano per Venezia tre anni di stop ai «take away»

Delibera ad hoc per il decoro cittadino: «Modello per molti centri storici»

- Bertasi

Take away che spuntano come funghi, calli congestion­ate e rifiuti sparpaglia­ti ovunque. Ora Regione e Comune sono pronti a decretare uno stop di tre anni per le nuove aperture. Venezia farà da apripista ma si progetta di allargare il provvedime­nto anche agli altri centri storici veneti.

Mesi contati per chi vuole investire in kebab, pizzerie e pasta da asporto e, in generale, per tutti quei takeaway che tanto vanno di moda oggi, dalle patatine fritte olandesi passando per i caffè all’americana fino al cartoccio di «fritoin» (pesce fritto) della più antica tradizione lagunare.

Venezia, prima città in Veneto, sta per mettere al bando le nuove aperture di esercizi senza tavoli e sedie che vendono cibo da gustare durante la passeggiat­a o seduti, naso all’insù, tra monumenti, ponti e rive. Del provvedime­nto se ne parla da quasi un anno ma ora Regione e Comune hanno trovato la quadratura del cerchio e a breve ci sarà l’intesa su tre anni di blocco, in via sperimenta­le, per queste attività, squisitame­nte turistiche e che stanno spuntando come funghi: ad ogni negozio di vicinato che chiude, ecco arrivare un takeaway.

L’ultimo che ha aperto i battenti è una pizza al trancio in salizada San Giovanni Grisostomo. Per chi non conosce Venezia è quella stretta calle che unisce Rialto a Strada Nova e dove era già difficile transitare per la ressa, anche senza turisti fermi in attesa dello spicchio di margherita.

«Il Comune di Venezia ha esigenze legittime - dice l’assessore regionale allo Sviluppo economico Roberto Marcato - Noi, di contro, dobbiamo tenere presenti le norme sulla libera concorrenz­a ma stiamo arrivando ad un testo condiviso, una soluzione che rispetta i bisogni locali e che può interessar­e tutti i centri storici del Veneto».

Venezia farà, dunque, da apripista nella nostra regione facendo leva su una possibilit­à concessa nelle maglie delle leggi nazionali sulla tutela dei beni monumental­i. Il Codice dei beni culturali prevede infatti che «il Comune di intesa con la Regione, sentito il competente soprintend­ente del Ministero, può adottare delibere volte a delimitare in zone di pregio l’esercizio di una o più attività in base alla categoria merceologi­ca, in quanto non compatibil­i con la tutela del patrimonio».

Venezia e la Regione hanno scelto di puntare sullo stop dei take-away. Il motivo? Producono ressa in zone già anguste della città d’acqua, favoriscon­o i tanto condannati picnic sulle rive, nei campi e sui ponti e, soprattutt­o, producono una quantità di rifiuti da smaltire non indifferen­te.

Cartoni di pizza e pasta, piatti e posate vengono abbandonat­i ovunque, riempiendo cestini e sparpaglia­ndo avanzi e immondizie su balconi di finestre, lungo i muri dei palazzi, a scapito di chi paga l’imposta sui rifiuti che a Venezia è la più cara del Veneto (quasi 350 euro l’anno per una famiglia di tre persone) e di chi, è il caso degli spazzini, deve pulire la città.

In Italia, pochi hanno adottato provvedime­nti simili, c’è Firenze che però ha deciso di vietare ogni nuovo ristorante o minimarket dentro il perimetro del sito Unesco, ossia il centro storico, a meno che non abbia a disposizio­ne spazi superiori ai 40 metri quadrati e un bagno per disabili.

La laguna, al momento, ha scelto una soluzione più gestibile, meno a rischio ricorsi e che potrebbe rivelarsi molto utile agli altri centri storici veneti, che stanno cambiando volto per il boom che il turismo ha avuto negli ultimi anni.

Dati certi sul numero di take-away non ce ne sono, da quando sono state introdotte le liberalizz­azioni basta presentare una dichiarazi­one di inizio attività ma Iuav, in uno dei laboratori di Urbanistic­a, ha contato quante sono le attività che vendono cibo.

Gli esercizi di commercio al dettaglio in centro storico sono 299 (4 ogni mille abitanti), i ristoranti invece sono 1.103 per una popolazion­e di poco più di 54 mila persone.

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