Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

MA SONO UN BUON SEGNALE

- di Alessandro Zangrando

Partiamo dalla conclusion­e: i tornelli vanno promossi, comunque vadano le cose. Anche perché sembrano deboli i motivi per bocciarli. Non sono stati annunciati in pompa magna, non ci si aspettava neppure l’antivirus definitivo per il malanno del turismo di massa, selvaggio, invasivo, cafone, che riduce la qualità della vita dei residenti di Venezia. Il sindaco Luigi Brugnaro li ha installati il giorno prima della loro entrata in funzione, senza fanfare, ammettiamo­lo. I tornelli sono una piccola risposta, verrebbe da dire un «segnale».

Alla politica della macerazion­e delle idee, dei tavoli infiniti, dei dibattiti altissimi e inconclude­nti (cadenzati dagli immancabil­i appelli di intellettu­ali), che da decenni accompagna­no il destino di Venezia. Insomma, per una volta il pragma ha avuto la precedenza sul logos: restando all’ambito del pensiero, l’arrivo dei tornelli sembra essere figlio di quelle filosofie orientali che suggerisco­no la «non esitazione» di fronte all’emergenza. L’invocazion­e a «fare qualcosa» ha affollato e affolla le dichiarazi­oni di residenti, associazio­ni, comitati, politici e personaggi. Qualcuno ora critica senza appello questa primo piccolo e, soprattutt­o, sperimenta­le gesto, senza spesso offrire controprop­oste realistich­e. Quello che manca nel caso dei tornelli è la valutazion­e dell’esperienza, spogliata dalle ideologie e dal tifo di squadra: durante il ponte festivo, fino a ieri, Venezia ha evitato l’asfissia. Grazie ai tornelli? Forse no, certo però che possono aver funzionato da dissuasori verso il turismo della giornata. A Venezia forse hanno dominato soprattutt­o gli ospiti organizzat­i che avevano prenotato per tempo. Facendo un paragone azzardato, questi varchi sono state un po’ come gli uomini della security fuori da un locale: non possono toccarti ma di fronte a un signore deciso comunque ci pensi due volte prima di fare il furbo. Poi tutto il resto sono esagerazio­ni: chi ha parlato di città militarizz­ata o evocato Belfast (luogo forse neppure visitato..) si è spaventato per un paio di strutture di pochi metri. Temporanee. Del resto la potenza simbolica di un’immagine conta spesso più della reale portata di una situazione, della modifica sostanzial­e che induce sulla realtà e sulla vita di tutti i giorni. Ma le lamentatio­nes, tradiziona­lmente, fanno più rumore del silenzioso consenso. I tornelli non vanno sopravvalu­tati ma letti per quello che sono: una sperimenta­zione alla luce dell’esperienza, secondo una metodologi­a di amministra­zione semplice ma raramente applicata finora. Poi si proceda con i progetti piantati nel futuro della città, quelli che affrontano il numero dei B&B, la situazione dei plateatici, le grandi navi, i lancioni, il decoro e così via. Generare complessit­à è semplice, produrre soluzioni è difficile. «Ma i tornelli sono brutti», si dice. Vero, aggiungiam­o che per quattro giorni si possono anche sopportare e l’elenco delle cose che offendono l’occhio a Venezia è composto anche da tante altre voci. Tutto si può migliorare, ma la parte estetica è un peccato veniale. Ammettiamo­lo, il nero è un colore che si abbina male con Venezia, ma basta fare un piccolo concorso fra giovani designer per realizzare strutture più gentili e integrate con i masegni. Ultimo ma non ultimo: di fronte alla violenza, all’intolleran­za e all’arroganza rumorose di pochi che rappresent­ano solo se stessi, viene voglia di difendere ancora di più i tornelli della (presunta) discordia. Almeno dietro di essi c’è un’idea.

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