Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
MA SONO UN BUON SEGNALE
Partiamo dalla conclusione: i tornelli vanno promossi, comunque vadano le cose. Anche perché sembrano deboli i motivi per bocciarli. Non sono stati annunciati in pompa magna, non ci si aspettava neppure l’antivirus definitivo per il malanno del turismo di massa, selvaggio, invasivo, cafone, che riduce la qualità della vita dei residenti di Venezia. Il sindaco Luigi Brugnaro li ha installati il giorno prima della loro entrata in funzione, senza fanfare, ammettiamolo. I tornelli sono una piccola risposta, verrebbe da dire un «segnale».
Alla politica della macerazione delle idee, dei tavoli infiniti, dei dibattiti altissimi e inconcludenti (cadenzati dagli immancabili appelli di intellettuali), che da decenni accompagnano il destino di Venezia. Insomma, per una volta il pragma ha avuto la precedenza sul logos: restando all’ambito del pensiero, l’arrivo dei tornelli sembra essere figlio di quelle filosofie orientali che suggeriscono la «non esitazione» di fronte all’emergenza. L’invocazione a «fare qualcosa» ha affollato e affolla le dichiarazioni di residenti, associazioni, comitati, politici e personaggi. Qualcuno ora critica senza appello questa primo piccolo e, soprattutto, sperimentale gesto, senza spesso offrire controproposte realistiche. Quello che manca nel caso dei tornelli è la valutazione dell’esperienza, spogliata dalle ideologie e dal tifo di squadra: durante il ponte festivo, fino a ieri, Venezia ha evitato l’asfissia. Grazie ai tornelli? Forse no, certo però che possono aver funzionato da dissuasori verso il turismo della giornata. A Venezia forse hanno dominato soprattutto gli ospiti organizzati che avevano prenotato per tempo. Facendo un paragone azzardato, questi varchi sono state un po’ come gli uomini della security fuori da un locale: non possono toccarti ma di fronte a un signore deciso comunque ci pensi due volte prima di fare il furbo. Poi tutto il resto sono esagerazioni: chi ha parlato di città militarizzata o evocato Belfast (luogo forse neppure visitato..) si è spaventato per un paio di strutture di pochi metri. Temporanee. Del resto la potenza simbolica di un’immagine conta spesso più della reale portata di una situazione, della modifica sostanziale che induce sulla realtà e sulla vita di tutti i giorni. Ma le lamentationes, tradizionalmente, fanno più rumore del silenzioso consenso. I tornelli non vanno sopravvalutati ma letti per quello che sono: una sperimentazione alla luce dell’esperienza, secondo una metodologia di amministrazione semplice ma raramente applicata finora. Poi si proceda con i progetti piantati nel futuro della città, quelli che affrontano il numero dei B&B, la situazione dei plateatici, le grandi navi, i lancioni, il decoro e così via. Generare complessità è semplice, produrre soluzioni è difficile. «Ma i tornelli sono brutti», si dice. Vero, aggiungiamo che per quattro giorni si possono anche sopportare e l’elenco delle cose che offendono l’occhio a Venezia è composto anche da tante altre voci. Tutto si può migliorare, ma la parte estetica è un peccato veniale. Ammettiamolo, il nero è un colore che si abbina male con Venezia, ma basta fare un piccolo concorso fra giovani designer per realizzare strutture più gentili e integrate con i masegni. Ultimo ma non ultimo: di fronte alla violenza, all’intolleranza e all’arroganza rumorose di pochi che rappresentano solo se stessi, viene voglia di difendere ancora di più i tornelli della (presunta) discordia. Almeno dietro di essi c’è un’idea.