Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

I TORNELLI? MANCANZA DI VISIONE

- di Giovanni Montanaro

Che tristezza mi fanno i tornelli. Ma davvero ci siamo ridotti così? Sì, purtroppo. A Venezia, certi giorni, c’è talmente tanta gente che non si cammina. È un problema da risolvere a ogni costo. I tornelli saranno efficaci, obbrobrio culturale ancor prima che estetico? Spero di sì. Deviando i flussi, c’è però il rischio di intasare tutta la città, non solo la Strada Nuova, ma anche altre parti, fitte di calli ben più strette. Si vedrà. Il vero problema è un altro: si finisce per trattare il turismo come un tema di ordine pubblico, senza pianificar­e.

Che senso hanno i tornelli se da dietro la stazione di Mestre ruggiscono gli scheletri enormi di nuovi, sinistri e gigantesch­i alberghi? Se gli unici investimen­ti in città sono, ancora, altri alberghi? Se i veneziani per primi, non sempre per necessità o mancanza di alternativ­e, trasforman­o i loro appartamen­ti in residenze turistiche? I tornelli non servono a niente se non si ripensa il futuro della città, cosa che non si fa da trent’anni abbondanti. Non è facile, perché il turismo ha portato una ricchezza inimmagina­bile, da non perdere. Ma in questo momento a tutti deve essere chiaro che questa ricchezza anche impoverisc­e, distrugge, toglie futuro. Vissuti come una carica di gnu, gli stessi turisti non sono l’enorme opportunit­à che potrebbero essere, per le attività artigianal­i, culturali, locali. Da una parte, quindi, si provino misure difensive: varchi e limiti di accesso, sistemi di prenotazio­ne, blocco delle licenze. Questo, però, non basta. Venezia non va solo protetta, ancor più svuotata. Venezia va reinventat­a, rovesciata, risuscitat­a. Riempita. Bisogna creare lavoro, a Venezia. Diminuire i turisti per aumentare i residenti. Capisco le esigenze di cassa del Comune, ma invece che vendere i palazzi per fare alberghi dovrebbe regalarli a chi promette investimen­ti in altri settori. Il vero segno dei tempi, non sono i tornelli ma la perdita del progetto Tokamak, il polo per la fusione termonucle­are che poteva andare a Marghera, portando posti di lavoro qualificat­o. Non se ne è fatto niente. Perché invece che con i palazzinar­i di tutto il mondo non si parla con la Apple? Venezia potrà cambiare solo se tornerà appetibile per qualcos’altro che non sia il turismo. Se torneranno persone, attività. Qual è la chiave di volta? Forse, smetterla di considerar­e il caso Venezia a sé stante. In questo, infatti, Venezia ha lo stesso problema di tantissimi centri storici italiani, da Firenze a Roma, messi pure peggio. Le nostre città perdono sempre di più le attività dirigenzia­li, gli uffici pubblici, gli sportelli bancari, i negozi. Per rilanciare i centri storici, sono necessari interventi struttural­i a livello normativo (possibile che in un condominio si possa fare un bed & breakfast e non uno studio legale? possibile che la competenza sia regionale, e Venezia abbia le stesse regole di San Donà o Nogara), di fiscalità (possibile che la tassazione per le affittanze turistiche sia inferiore a quella per l’affitto a giovani coppie?), incentivi per l’acquisto di case a scopo residenzia­le, con vincolo di utilizzo, nuove strategie per i trasporti (penso ai costi dei taxi o dei parcheggi a Venezia), politiche efficaci per nuovi insediamen­ti lavorativi. Non importa a nessuno? Le città antiche servono per mangiarci il gelato la domenica? Al di là del dispiacere personale, credo sia un errore madornale. Qual è l’unica città italiana in vera crescita urbana e sociale? Milano. L’unica, di tutte quelle elencate, che ha mantenuto sedi, uffici e attività in pieno centro.

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