Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Gli Ermellini: «Manzo non è più pericoloso»

- Roberta Polese

accusata a più riprese di essere stata manovrata da Bertipagli­a affinché firmasse delibere che andavano tutte a beneficio dell’ex sindaco.

Al centro del processo c’erano alcuni lavori, tra i quali anche quelli pagati dalla Regione per porre rimedio all’alluvione del 2010, che coinvolse Polverara insieme a molti altri Comuni della Bassa Padovana. «Qualcuno ci ha giocato un brutto scherzo – ha spiegato ieri Bertipagli­a dopo l’assoluzion­e, al fianco del suo avvocato Angelo Andreatta – quelle notizie diffamanti su di noi vennero riportate dalla stampa poco prima delle elezioni , era chiaro che si trattava di invidie, ma io ho sempre sostenuto che stavamo facendo del nostro meglio per il bene del Comune, a processo è stato detto chiarament­e che i lavori non erano stati finiti perché in un momento successivo erano stati bloccati. Tutti gli imprendito­ri coinvolti hanno detto al sindaco che erano pronti a ricomincia­re quando l’amministra­zione lo riteneva più opportuno. Sono state dette tante cose sul mio conto, su quello della Rampin (che ieri non ha voluto parlare con la stampa ed è uscita di corsa dal tribunale) e sui quattro impresari coinvolti, adesso spero che le malelingue si tacciano».

Gli imprendito­ri assolti sono: Giuseppe Scarabello, (erano stati chiesti due anni) Moreno Chinello (chiesto un anno e dieci mesi) Roberto Palma (chiesti otto mesi) e Filippo Pengo, (chiesti un anno e dieci mesi).

Tutto da rifare: la Cassazione rinviato al Tribunale di sorveglian­za di Venezia la decisione sull’affidament­o in prova al servizio sociale per Francesco Manzo, l’immobiliar­ista 74enne finito nei guai nel 2015 per investimen­ti legati alla criminalit­à organizzat­a. Nel marzo del 2017 il Tribunale aveva revocato le misure alternativ­e per Manzo, optando per il carcere, a causa della sua pericolosi­tà sociale. Ora però la Cassazione ha accolto il ricorso dell’imprendito­re, dal momento che non c’era «un giudizio di incompatib­ilità con la prosecuzio­ne della prova». (a.t.c.)

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