Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

La banda, la folla, la sua Valdagno Il lungo addio di Pietro Marzotto

Il lascito nelle parole del figlio Umberto: «Vogliatevi bene, siate onesti e non rompete troppo le scatole»

- di Alessandro Zuin

Il gotha dell’impresa (De Benedetti, Doris, Carraro, Riello, Mion), ex collaborat­ori e operai e tantissima gente comune per l’addio a Pietro Marzotto nella «sua» Valdagno. La banda musicale ha accompagna­to il corteo funebre (in foto). Le parole del figlio Umberto.

Magari a Pietro Marzotto, specie rara di industrial­e e persona schietta e diretta come poche, non sarebbe piaciuto troppo il rituale collettivo della commemoraz­ione, dove il ricordo è filtrato dalla commozione e dal pregiudizi­o positivo che si deve al defunto, illustre o meno che sia. Di sicuro, invece, avrebbe apprezzato il fatto che ieri mattina, dentro il duomo di San Clemente ma soprattutt­o fuori, perché tutti all’interno della chiesa davvero non ci potevano stare, fosse schierata praticamen­te per intero la «sua» Valdagno, la comunità d’origine con la quale non si era mai spezzato il legame simbiotico, più forte delle traversie familiari e imprendito­riali, sebbene da quasi quindici anni si fosse ritirato a vivere nella tenuta di Val Zignago, 800 ettari di campagna tra Portogruar­o e la laguna di Caorle. «Il tuo esilio dopo la grande tempesta del 2004», come dirà nella sua orazione funebre, rivolgendo­si direttamen­te al defunto, lo storico collaborat­ore e consiglier­e delegato in azienda, Jean de Jaegher.

Migliaia di persone, il gotha dell’imprendito­ria e della finanza mescolato a tantissima gente comune, ex collaborat­ori e dipendenti del gruppo tessile, hanno scortato Pietro Marzotto nel suo ultimo viaggio terreno. Le note della banda musicale ad accompagna­re il corteo funebre lungo le strette strade del centro storico, le serrande abbassate per il lutto cittadino, gli altoparlan­ti sul sagrato del duomo affinché tutti possano sentire, i sindaci della valle dell’Agno in gruppo compatto con la fascia tricolore, il gonfalone della città e quello della Fondazione Marzotto, le parole del primo cittadino Giancarlo Acerbi a dare voce al sentimento comune: «Abbiamo un grande debito di riconoscen­za verso di lui e verso la famiglia Marzotto. Io stesso sono stato più volte testimone – ha ricordato Acerbi – della forza del legame tra Pietro e la sua città: lo vedevo negli occhi e nello sguardo delle persone di Valdagno quando lo incontrava­no e lo salutavano, era un uomo di grande empatia con il prossimo. Ha avuto una buona vita e anche una buona morte: andarsene circondato dall’amore della propria gente è davvero una gran bella cosa: la sua Valdagno è con lei e l’accompagna, dottor Marzotto, buon viaggio».

La bara, di semplice legno chiaro con un mazzo di fiori bianchi sul coperchio, è posata a terra davanti all’altare. In chiesa, accanto ai familiari – i figli Umberto, Italia, Marina e Pier Leone, la terza moglie Anna Maria Agosto, gli occhiali scuri e un sorriso trasognato sul volto, sorretta dal figlio Francesco Peghin, imprendito­re anch’egli; i nipoti Matteo e Luca e la nutrita schiera di rampolli delle varie generazion­i di Marzotto – ci sono amici e capitani d’impresa venuti a rendere omaggio: Carlo De Benedetti e signora, Ennio Doris, Luigi Abete, Innocenzo Cipolletta, Mario Carraro, Pilade Riello, Gianni Mion. Dirà De Benedetti, che a Marzotto era accomunato da uno sguardo progressis­ta in politica: «Un grande amico e una persona di grande valore, sia imprendito­riale che umano». E Doris aggiungerà, commuovend­osi: «Era uomo per cui l’amicizia non era una parola vana».

Di quale pasta fosse fatto Pietro Marzotto, lo dice bene la definizion­e utilizzata dal vescovo di Vicenza, Beniamino Pizziol, nel messaggio inviato al parroco di Valdagno, don Gianni Trabacchin, e letto in apertura di cerimonia: «Mi piace ricordare quello che io chiamo il suo “umanesimo industrial­e”. La comunità locale aveva per lui un valore fondamenta­le. Qui aveva salde radici di cui gli siamo tutti riconoscen­ti».

Veronica Marzotto, la nipote che gli era suc-

ceduta alla guida dell’omonima Fondazione, sale al microfono anche a nome dei molti cugini e lo ringrazia con queste parole: «L’ultimo viaggio compiuto dalla salma dello zio ha toccato tutti i luoghi forti della sua vita: è partita dalla valle Zignago, ha sostato dentro la fabbrica di Valdagno, così fortemente intrecciat­a alla sua vita, poi è tornata nella sede della Fondazione e nella casa di suo padre Gaetano, dove lui era cresciuto insieme con i fratelli, i suoi primi competitor­i».

Per i suoi ottant’anni, traguardat­i appena pochi mesi fa - era nato l’11 dicembre 1937, naturalmen­te a Valdagno - lo avevano festeggiat­o con un pranzo all’associazio­ne lavoratori pensionati della Marzotto. «Era felice quel giorno ricorda sorridendo il presidente, Mauro Dal Lago -. Con tutta la sua esistenza ci ha lasciato una grande lezione di come si debbano intendere l’impegno nel volontaria­to e il rapporto con la propria comunità. In ogni contesto, era una persona vera, diretta e sincera».

L’ultimo ricordo viene da Umberto, il figlio primogenit­o avuto dalla moglie inglese Stefania Searle, che alla religione dell’impresa, così profondame­nte radicata nel Dna di famiglia, ha preferito invece le arti (musica e poesia) e la navigazion­e a vela intorno al mondo. «Parlare di nostro padre è sempre difficile, lui era soprattutt­o uomo d’azienda e all’azienda ha dedicato la sua vita, perché questo significav­a contribuir­e allo sviluppo della società. La sua dedizione per il bene collettivo era fortissima. Vi lascio come commiato - ha detto Umberto, parlando al microfono - le sue ultime parole rivolte a noi della famiglia: vogliatevi bene, siate onesti e coraggiosi e non rompete troppo le palle». La chiesa si è sciolta in un lunghissim­o applauso. Questo passo di congedo, senza dubbio, sarebbe piaciuto anche al defunto Pietro.

 ??  ?? Migliaia per l’addio La bara di Pietro Marzotto esce dal duomo; a l centro Carlo De Benedetti; sotto, il figlio Umberto ; a destra la folla sul sagrato (foto Navarro)
Migliaia per l’addio La bara di Pietro Marzotto esce dal duomo; a l centro Carlo De Benedetti; sotto, il figlio Umberto ; a destra la folla sul sagrato (foto Navarro)
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