Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
La banda, la folla, la sua Valdagno Il lungo addio di Pietro Marzotto
Il lascito nelle parole del figlio Umberto: «Vogliatevi bene, siate onesti e non rompete troppo le scatole»
Il gotha dell’impresa (De Benedetti, Doris, Carraro, Riello, Mion), ex collaboratori e operai e tantissima gente comune per l’addio a Pietro Marzotto nella «sua» Valdagno. La banda musicale ha accompagnato il corteo funebre (in foto). Le parole del figlio Umberto.
Magari a Pietro Marzotto, specie rara di industriale e persona schietta e diretta come poche, non sarebbe piaciuto troppo il rituale collettivo della commemorazione, dove il ricordo è filtrato dalla commozione e dal pregiudizio positivo che si deve al defunto, illustre o meno che sia. Di sicuro, invece, avrebbe apprezzato il fatto che ieri mattina, dentro il duomo di San Clemente ma soprattutto fuori, perché tutti all’interno della chiesa davvero non ci potevano stare, fosse schierata praticamente per intero la «sua» Valdagno, la comunità d’origine con la quale non si era mai spezzato il legame simbiotico, più forte delle traversie familiari e imprenditoriali, sebbene da quasi quindici anni si fosse ritirato a vivere nella tenuta di Val Zignago, 800 ettari di campagna tra Portogruaro e la laguna di Caorle. «Il tuo esilio dopo la grande tempesta del 2004», come dirà nella sua orazione funebre, rivolgendosi direttamente al defunto, lo storico collaboratore e consigliere delegato in azienda, Jean de Jaegher.
Migliaia di persone, il gotha dell’imprenditoria e della finanza mescolato a tantissima gente comune, ex collaboratori e dipendenti del gruppo tessile, hanno scortato Pietro Marzotto nel suo ultimo viaggio terreno. Le note della banda musicale ad accompagnare il corteo funebre lungo le strette strade del centro storico, le serrande abbassate per il lutto cittadino, gli altoparlanti sul sagrato del duomo affinché tutti possano sentire, i sindaci della valle dell’Agno in gruppo compatto con la fascia tricolore, il gonfalone della città e quello della Fondazione Marzotto, le parole del primo cittadino Giancarlo Acerbi a dare voce al sentimento comune: «Abbiamo un grande debito di riconoscenza verso di lui e verso la famiglia Marzotto. Io stesso sono stato più volte testimone – ha ricordato Acerbi – della forza del legame tra Pietro e la sua città: lo vedevo negli occhi e nello sguardo delle persone di Valdagno quando lo incontravano e lo salutavano, era un uomo di grande empatia con il prossimo. Ha avuto una buona vita e anche una buona morte: andarsene circondato dall’amore della propria gente è davvero una gran bella cosa: la sua Valdagno è con lei e l’accompagna, dottor Marzotto, buon viaggio».
La bara, di semplice legno chiaro con un mazzo di fiori bianchi sul coperchio, è posata a terra davanti all’altare. In chiesa, accanto ai familiari – i figli Umberto, Italia, Marina e Pier Leone, la terza moglie Anna Maria Agosto, gli occhiali scuri e un sorriso trasognato sul volto, sorretta dal figlio Francesco Peghin, imprenditore anch’egli; i nipoti Matteo e Luca e la nutrita schiera di rampolli delle varie generazioni di Marzotto – ci sono amici e capitani d’impresa venuti a rendere omaggio: Carlo De Benedetti e signora, Ennio Doris, Luigi Abete, Innocenzo Cipolletta, Mario Carraro, Pilade Riello, Gianni Mion. Dirà De Benedetti, che a Marzotto era accomunato da uno sguardo progressista in politica: «Un grande amico e una persona di grande valore, sia imprenditoriale che umano». E Doris aggiungerà, commuovendosi: «Era uomo per cui l’amicizia non era una parola vana».
Di quale pasta fosse fatto Pietro Marzotto, lo dice bene la definizione utilizzata dal vescovo di Vicenza, Beniamino Pizziol, nel messaggio inviato al parroco di Valdagno, don Gianni Trabacchin, e letto in apertura di cerimonia: «Mi piace ricordare quello che io chiamo il suo “umanesimo industriale”. La comunità locale aveva per lui un valore fondamentale. Qui aveva salde radici di cui gli siamo tutti riconoscenti».
Veronica Marzotto, la nipote che gli era suc-
ceduta alla guida dell’omonima Fondazione, sale al microfono anche a nome dei molti cugini e lo ringrazia con queste parole: «L’ultimo viaggio compiuto dalla salma dello zio ha toccato tutti i luoghi forti della sua vita: è partita dalla valle Zignago, ha sostato dentro la fabbrica di Valdagno, così fortemente intrecciata alla sua vita, poi è tornata nella sede della Fondazione e nella casa di suo padre Gaetano, dove lui era cresciuto insieme con i fratelli, i suoi primi competitori».
Per i suoi ottant’anni, traguardati appena pochi mesi fa - era nato l’11 dicembre 1937, naturalmente a Valdagno - lo avevano festeggiato con un pranzo all’associazione lavoratori pensionati della Marzotto. «Era felice quel giorno ricorda sorridendo il presidente, Mauro Dal Lago -. Con tutta la sua esistenza ci ha lasciato una grande lezione di come si debbano intendere l’impegno nel volontariato e il rapporto con la propria comunità. In ogni contesto, era una persona vera, diretta e sincera».
L’ultimo ricordo viene da Umberto, il figlio primogenito avuto dalla moglie inglese Stefania Searle, che alla religione dell’impresa, così profondamente radicata nel Dna di famiglia, ha preferito invece le arti (musica e poesia) e la navigazione a vela intorno al mondo. «Parlare di nostro padre è sempre difficile, lui era soprattutto uomo d’azienda e all’azienda ha dedicato la sua vita, perché questo significava contribuire allo sviluppo della società. La sua dedizione per il bene collettivo era fortissima. Vi lascio come commiato - ha detto Umberto, parlando al microfono - le sue ultime parole rivolte a noi della famiglia: vogliatevi bene, siate onesti e coraggiosi e non rompete troppo le palle». La chiesa si è sciolta in un lunghissimo applauso. Questo passo di congedo, senza dubbio, sarebbe piaciuto anche al defunto Pietro.