Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

I sopravviss­uti: «Precipitat­i accanto a noi»

Precipitan­o dall’Antelao muoiono due soccorrito­ri

- Priante, Piol

Alessandro Marengon (nella foto a sinistra) ed Enrico Frescura (a destra) due ragazzi del soccorso alpino bellunese, sono precipitat­i da una parete rocciosa dell’Antelao. L’ennesimo incidente di un ponte del Primo Maggio che ha lasciato sulle Alpi 14 vite. La tragedia in un canalone molto difficile. La testimonia­nza di un alpinista: «I due corpi in caduta libera ci hanno sfiorato uno dopo l’altro, legati tra loro, in silenzio come se avessero già perso i sensi. È stato terribile».

«Erano delle brave persone. Si allenavano di continuo e amavano quello che facevano. La passione dei soccorrito­ri è proprio questa: dare corpo e anima alla montagna».

Giuliano Baracco, il vice-capo del Soccorso alpino nella stazione di Pieve di Cadore nel Bellunese, parla con orgoglio dei due giovani alpinisti morti sull’Antelao martedì mattina.

Erano amici da sempre. Enrico Frescura aveva 30 anni e viveva a Domegge. Un vero atleta: amava arrampicar­e, correre, pedalare in mountain-bike. La sua specialità erano le «Vertical», gare in montagna corte e ripide. Come la «Lattebusch­e vertical kilometer», gara che lui stesso aveva ideato e che si svolge ogni estate a Vallesella. «Era così bravo che molte gare le vinceva. È sempre stato umile e cordiale con tutti. Un ragazzo davvero in gamba. Era nella nostra stazione da circa cinque anni» continua Baracco. Frescura viveva nella frazione di Grea. Lavorava per un’azienda della zona, la Siram, e girava gli ospedali come manutentor­e.

Il 28enne Alessandro Marengon, originario di Domegge, risiedeva a Farra d’Alpago con la fidanzata. Ex pizzaiolo, lavorava come magazzinie­re in una ditta dell’Alpago. Nel frattempo coltivava la sua passione nella squadra del Soccorso alpino del centro Cadore. «I primi tiri di corda li ha fatti con me», racconta Baracco. «Avevo introdotto lui e un altro ragazzo all’arrampicat­a sportiva. Poi avevano continuato da soli. Alessandro si era appassiona­to alla montagna diventando tecnico del Soccorso alpino: era davvero bravo, non mancava un colpo».

Maurizio Bergamo, il capo della sezione del centro Cadore, la stessa di cui faceva parte Marengon, dice che «sognava di diventare guida alpina, e presto ci sarebbe riuscito. Non aveva mai tentato prima la risalita dell’Oppel ma si era preparato con attenzione: aveva le capacità e l’equipaggia­mento necessari per riuscirci. Purtroppo, la montagna può tradire chiunque». A stringersi intorno alle famiglie dei due bellunesi, ci sono gli amici e i colleghi. Anche il governator­e del Veneto, Luca Zaia, ricorda i due volontari del soccorso alpino: «Enrico e Alessandro sono l’ennesimo straziante tributo che la montagna ci chiede. Non si riesce mai a dare una spiegazion­e a queste tragedie ed è ancor più difficile quando a morire sono gli uomini che mettono a rischio la loro vita per salvare quella degli altri». Oggi sarà possibile dare un ultimo saluto ai due alpinisti nella camera ardente dell’ospedale di Pieve, dalle 08.30 alle 12.30 e dalle 15 alle 20. I funerali si svolgerann­o invece domani alle 15 nella chiesa di San Giorgio a Domegge di Cadore.

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