Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Non faceva pagare le fecondazio­ni il ginecologo Ambrosini a processo

Il medico è accusato di aver danneggiat­o economicam­ente l’Azienda ospedalier­a

- Roberta Polese

Dal 2010 si trascina il caso delle centinaia di pazienti che hanno ottenuto la fecondazio­ne assistita in Azienda ospedalier­a dietro pagamento del solo ticket di 36,15 euro, evitando il versamento dell’intero importo della prestazion­e previsto da una circolare emessa dalla direzione sanitaria. Che impone l’esborso di 400 euro per la tecnica Fivet e di 700 per la Icsi. Circa 1700 prestazion­i, invece, sono state erogate dal 2003 al 2010 dal Centro di procreazio­ne medicalmen­te assistita guidato allora dal professor Guido Ambrosini all’interno della Clinica ginecologi­ca affidata al padre Antonio, richiedend­o sempliceme­nte il ticket, con la ricaduta del costo della terapia sull’ospedale.

Dopo la prescrizio­ne di massa di tutti gli episodi precedenti al 2009, ora un processo si è aperto davanti al tribunale collegiale. Sono iniziate ieri le udienze a carico di Ambrosini junior, ex responsabi­le della struttura semplice di Fisiopatol­ogia della riproduzio­ne umana all’interno della Clinica di Ginecologi­a e Ostetricia dell’Azienda ospedalier­a, imputato per abuso d’ufficio perché nel 2010 prescrisse una fecondazio­ne assistita a una paziente facendole pagare 36,15 euro di ticket invece dei 700 previsti dal tabellario. Ieri, in un palazzo di giustizia semivuoto a causa dello sciopero degli avvocati, ha parlato davanti al collegio uno dei maresciall­i della Guardia di Finanza che procedette al sequestro delle prime cartelle cliniche. La prossima udienza si terrà a novembre.

Lo scandalo vero e proprio esplose nel 2010, quando il nuovo direttore della Clinica ginecologi­ca, il professor Giovanni Battista Nardelli, scoprì che per anni il suo predecesso­re Antonio Ambrosini — in pensione dal 2009 — e il figlio Guido avevano garantito al prezzo del ticket la fecondazio­ne assistita. Ci fu un braccio di ferro tra ospedale e i due medici, perché con la prassi del ticket l’ospedale perse un importo inizialmen­te quantifica­to in due milioni di euro, cifra ridimensio­nata successiva­mente a 500mila euro nel corso della serrata battaglia legale tra il professor Ambrosini e l’ospedale.

Oltre a questo la Finanza scoprì che gli Ambrosini, a fronte del pagamento di alcune visite private, non solo garantivan­o l’esonero del pagamento intero all’Azienda ospedalier­a, ma avrebbero anche garantito una priorità di prestazion­e sanitaria rispetto alle lunghe liste d’attesa.

Le tecniche di inseminazi­one artificial­e sono molto complesse e difficili da eseguire e non sempre vanno a buon fine, pertanto le donne che non riuscivano ad avere figli con le vie naturali si sottoponev­ano a diversi cicli di terapia all’anno. I professori Antonio e Guido Ambrosini, avevano avuto tutto l’appoggio dalle donne che avevano preso in cura, per la loro profession­alità e la loro competenza.

A rendersi conto però che qualcosa non andava era stato il professor Giovanni Battista Nardelli, che prese il posto di Ambrosini alla guida di Ginecologi­a. Il primario si accorse che quelle prestazion­i avevano un prezzo ben più alto rispetto a quello applicato dai colleghi. La maggior parte dei casi finì in prescrizio­ne perché verificati­si prima del 2009. Solo un episodio è rimasto processabi­le, quello di una paziente che pagò l’ultimo ticket sbagliato nel maggio del 2010 e che adesso è a processo, con Ambrosini jr imputato per abuso d’ufficio.

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Il professor Guido Ambrosini, ex direttore del centro di Pma in ospedale
Alla sbarra Il professor Guido Ambrosini, ex direttore del centro di Pma in ospedale

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