Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Non faceva pagare le fecondazioni il ginecologo Ambrosini a processo
Il medico è accusato di aver danneggiato economicamente l’Azienda ospedaliera
Dal 2010 si trascina il caso delle centinaia di pazienti che hanno ottenuto la fecondazione assistita in Azienda ospedaliera dietro pagamento del solo ticket di 36,15 euro, evitando il versamento dell’intero importo della prestazione previsto da una circolare emessa dalla direzione sanitaria. Che impone l’esborso di 400 euro per la tecnica Fivet e di 700 per la Icsi. Circa 1700 prestazioni, invece, sono state erogate dal 2003 al 2010 dal Centro di procreazione medicalmente assistita guidato allora dal professor Guido Ambrosini all’interno della Clinica ginecologica affidata al padre Antonio, richiedendo semplicemente il ticket, con la ricaduta del costo della terapia sull’ospedale.
Dopo la prescrizione di massa di tutti gli episodi precedenti al 2009, ora un processo si è aperto davanti al tribunale collegiale. Sono iniziate ieri le udienze a carico di Ambrosini junior, ex responsabile della struttura semplice di Fisiopatologia della riproduzione umana all’interno della Clinica di Ginecologia e Ostetricia dell’Azienda ospedaliera, imputato per abuso d’ufficio perché nel 2010 prescrisse una fecondazione assistita a una paziente facendole pagare 36,15 euro di ticket invece dei 700 previsti dal tabellario. Ieri, in un palazzo di giustizia semivuoto a causa dello sciopero degli avvocati, ha parlato davanti al collegio uno dei marescialli della Guardia di Finanza che procedette al sequestro delle prime cartelle cliniche. La prossima udienza si terrà a novembre.
Lo scandalo vero e proprio esplose nel 2010, quando il nuovo direttore della Clinica ginecologica, il professor Giovanni Battista Nardelli, scoprì che per anni il suo predecessore Antonio Ambrosini — in pensione dal 2009 — e il figlio Guido avevano garantito al prezzo del ticket la fecondazione assistita. Ci fu un braccio di ferro tra ospedale e i due medici, perché con la prassi del ticket l’ospedale perse un importo inizialmente quantificato in due milioni di euro, cifra ridimensionata successivamente a 500mila euro nel corso della serrata battaglia legale tra il professor Ambrosini e l’ospedale.
Oltre a questo la Finanza scoprì che gli Ambrosini, a fronte del pagamento di alcune visite private, non solo garantivano l’esonero del pagamento intero all’Azienda ospedaliera, ma avrebbero anche garantito una priorità di prestazione sanitaria rispetto alle lunghe liste d’attesa.
Le tecniche di inseminazione artificiale sono molto complesse e difficili da eseguire e non sempre vanno a buon fine, pertanto le donne che non riuscivano ad avere figli con le vie naturali si sottoponevano a diversi cicli di terapia all’anno. I professori Antonio e Guido Ambrosini, avevano avuto tutto l’appoggio dalle donne che avevano preso in cura, per la loro professionalità e la loro competenza.
A rendersi conto però che qualcosa non andava era stato il professor Giovanni Battista Nardelli, che prese il posto di Ambrosini alla guida di Ginecologia. Il primario si accorse che quelle prestazioni avevano un prezzo ben più alto rispetto a quello applicato dai colleghi. La maggior parte dei casi finì in prescrizione perché verificatisi prima del 2009. Solo un episodio è rimasto processabile, quello di una paziente che pagò l’ultimo ticket sbagliato nel maggio del 2010 e che adesso è a processo, con Ambrosini jr imputato per abuso d’ufficio.