Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Il baby-jihadista arrestato non è pentito, ora predica anche agli altri detenuti
Venezia, i giudici sul 17enne condannato: odia l’Occidente, è un pericolo
Dopo l’arresto non ha avuto alcun «ripensamento. La condotta in carcere ha mostrato il permanere del suo pensiero radicalizzato che ha influenzato anche altri detenuti». È un passaggio delle motivazioni che hanno spinto i giudici a condannare il minorenne che, con altri tre, voleva compiere un attentato a Venezia.
Dopo l’arresto non ha avuto alcun «ripensamento. La condotta in carcere ha mostrato il permanere del suo pensiero radicalizzato che ha influenzato anche altri detenuti». Di A.M., per i giudici che lo hanno condannato, si può dire tutto tranne che abbia una personalità fragile. Nonostante fosse il più giovane all’interno della cellula jihadista smantellata a marzo 2017 perché accusata di voler compiere un attentato a Venezia, è colui che più degli altri ha modificato il suo stile di vita e si è mostrato in grado di influenzare coetanei e non, come un suo compagno di prigione che non osservava le regole del Corano prima di conoscerlo. Dopo averlo incontrato il suo approccio alla religione è cambiato al punto che ha «iniziato a pregare assiduamente, farsi crescere la barba, a incollare in cella versi del Corano in arabo e gli orari delle preghiere scritti di pugno da A.M. ed è arrivato a esprimere a un altro detenuto la disponibilità a mettere una bomba per conquistare il paradiso».
Per i giudici non si può dire, quindi, che il ragazzo non fosse in grado di gestire i propri impulsi ma, al contrario, «è stato capace di affrontare scelte di vita difficili, motivate da convinzioni religiose e ideologiche alle quali si è mantenuto coerente», anche dopo l’arresto. Tutto questo lo si legge nella sentenza di condanna a quattro anni e otto mesi del giovane che, all’epoca dell’arresto, aveva 17 anni. Nel 2017 finirono in manette anche il 28enne Arjan Babaj (il capo del gruppo condannato a cinque anni), il 25enne Dake Haziraj e il 24enne Fisnik Bekaj (condannati a quattro anni ciascuno). Secondo le indagini di carabinieri e Digos i tre kosovari, con il minore, avevano dato vita a una cellula con base in un appartamento a San Marco e stavano progettando un attentato. A.M. era l’ultimo arrivato ma secondo i giudici la sua «ispirazione ideologica, il sentimento di odio verso l’occidente e l’impazienza di contribuire al raggiungimento degli obiettivi di natura terroristica hanno fatto correre alla collettività il rischio concreto che potesse assumere iniziative imprevedibili e catastrofiche anche da solo».
Fu proprio lui, in alcune intercettazioni, a dire che ci voleva «una bomba a Rialto» oppure «noi qua in 3 o 4 giorni facciamo uno stato islamico… ma io lo faccio per conto mio». A.M. lasciò il Kosovo a 16 anni e si trasferì dallo zio a Cavallino Treporti. Tra loro ci fu una lite quando, commentando una notizia riguardante l’attentato al Papa, il ragazzo disse che «forse facevano meglio ad ucciderlo». «Per noi tutti è stata un’umiliazione» disse lo zio alla polizia dopo l’arresto. A gennaio del 2017 conobbe Arjan Babaj in tram e i due cominciarono a frequentarsi fino a che il giovane si trasferì a Venezia. Da quel momento radicalizzò sempre di più il suo pensiero. «Islam non è pace, ma giustizia. La pace arriverà solo quando l’Islam scenderà su tutto il mondo», disse in un’intercettazione. Si mise a disposizione del gruppo, si dedicò a tempo pieno alla preghiera e alla formazione. Partecipe e affidabile non un ragazzino che voleva fare il gradasso, secondo i giudici. E dopo il blitz di polizia e carabinieri, infatti, in questura disse ai suoi compagni «Questo arresto ci renderà più forti».
In cella La condanna è a 4 anni e 8 mesi