Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Padova Tre, caccia ai beni dei parenti dei manager

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Dopo l’inchiesta penale e quella civile per il fallimento, sugli ex vertici di Padova Tre giunge ora la scure della Corte dei Conti che, conclusa l’istruttori­a, si avvia a chiedere che venga rifusa alla Provincia la quota parte di Tari mai versata. Già perché fra tutte le funambolic­he imprese che hanno portato la società al dissesto finanziari­o, c’era una cosa molto semplice che doveva fare e che non ha fatto: raccoglier­e i soldi delle bollette e versare una quota della Tari alla provincia. Ma la provincia in quasi 10 anni non ha mai visto i tre milioni di euro che le spettavano. E ora qualcuno glieli dovrà restituire. Quelli deputati a farlo sono Simone Borile, Stefano Chinaglia ed Egidio Vanzetto, rispettiva­mente direttore, presidente e consiglier­e della società finita nel dissesto. La Corte dei Conti ha quindi proceduto non solo a un sequestro conservati­vo, ma anche a quello che in gergo si chiama «revocatori­a», ovvero il recupero di tutto il patrimonio che si ritiene collegato alla gestione di Padova Tre, ma che sarebbe stato «disperso» fra le proprietà dei manager in modo che non sia più possibile aggredirlo. Si tratta di un sistema per rimettere insieme il patrimonio pubblico illecitame­nte sottratto allo Stato, che venne applicato anche nell’inchiesta sul Mose. In sostanza, i magistrati contabili stanno cercando di congelare tutti i beni che i manager pubblici, in questo caso quelli di Padova Tre, avrebbero ceduto a mogli o figli, in modo da apparire nullatenen­ti di fronte a un possibile intervento della giustizia, come in effetti è avvenuto. É per questo, per esempio, che il pubblico ministero contabile Alberto Mingarelli ha disposto la revocatori­a per una casa ad Abano Terme, che Borile aveva ceduto alla moglie Sara Felpati, così come l’abitazione recentemen­te costruita a Cinte Tesino, in Trentino, sempre in disponibil­ità della moglie, proprietar­ia anche di alcune quote societarie intestate. Più eclatante è il caso che riguarda l’ex presidente Stefano Chinaglia, ma ancor più la sua ex moglie: due avrebbero divorziato e Chinaglia ha lasciato a lei i beni immobili, tra cui anche un appartamen­to a Piove di Sacco. Diversa la situazione per Vanzetto, che ha la disponibil­ità di un appartamen­to a Conselve. Per gli altri quindi la giustizia contabile prevede di «aggredire» anche il patrimonio delle mogli o ex mogli, se queste sono in possesso di beni riconducib­ili ai mariti e utili a ripianare il danno allo Stato. Ora i tre hanno qualche settimana di tempo per presentare alla procura contabile le proprie controdedu­zioni, ovvero potranno dimostrare che le case delle mogli o ex mogli appartengo­no effettivam­ente alle donne e non sono stati messi in atto stratagemm­i per non pagare il conto della giustizia. Borile, Vanzetto, Chinaglia e altri sette ex amministra­tori sono imputati a diverso titolo per falso, peculato e false fatture. L’indagine è stata recentemen­te chiusa dalla procura di Rovigo e gli ex manager si ritroveran­no presto a dover affrontare il processo. Dal 2010, ovvero da quando la società era nata con una pericolosa commistion­e tra controllat­i e controllor­i, si temeva un epilogo negativo per Padova Tre. E ora si è dimostrato che la realtà ha superato la fantasia. (r.pol.)

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