Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Nuovi reparti per i ricoveri brevi
La riforma Confermata la suddivisione dei 68 poli esistenti. Cure, non saranno più i malati a spostarsi ma gli specialisti Piano socio sanitario, ecco come cambieranno gli ospedali. Stop al taglio dei posti letto
Dalle carte del nuovo piano socio sanitario regionale emergono diverse novità sul futuro degli ospedali veneti. La più importante è la nascita di stanze per i ricoveri brevi. Confermata la suddivisione dei 68 poli territoriali esistenti, che restano tutti, senza ulteriori tagli ai relativi 16.500 letti rispondenti ai 3 per mille abitanti. L’altra parola d’ordine è la personalizzazione delle cure. A spostarsi non dovranno essere più i malati ma gli specialisti «per facilitare risposte efficaci nei luoghi di maggiore prossimità» .
Porterà diverse novità alla rete ospedaliera il Piano sociosanitario 2019/2023 in attesa di approvazione da parte della giunta Zaia e poi della commissione Sanità e del Consiglio regionale. La base resta la suddivisione dei 68 ospedali esistenti — che restano tutti, senza ulteriori tagli ai relativi 16.500 letti, cui si aggiungono 3mila di riabilitazione e 2mila nelle strutture intermedie — in sei fattispecie. E cioè: i due Hub di eccellenza individuati nelle Aziende ospedaliere di Padova e Verona che in sinergia con i rispettivi Atenei integrano l’attività assistenziale con la didattica e la ricerca, partecipano a progetti nazionali e internazionali, garantiscono l’introduzione di pratiche innovative; i tre Hub di Treviso, Vicenza e Mestre, come i primi due caratterizzati da un bacino di un milione di abitanti, dall’alta specializzazione, dalla tecnologia più avanzata e dal trattamento dei casi maggiormente complessi; l’Hub regionale riconosciuto nell’Istituto oncologico veneto articolato nelle due sedi di Padova e Castelfranco; gli Spoke, come Belluno e Rovigo, cioè ospedali di riferimento per una popolazione di circa 200mila abitanti e dotati delle specialità di base; i Nodi di rete e le strutture di rete, ovvero ospedali di riferimento territoriale per le patologie a bassa e media intensità, che saranno potenziati.
E poi c’è la new entry: l’Oras di Motta di Livenza, società a partecipazione interamente pubblica dedicata alla riabilitazione.
Ricoveri brevi
Su quest’ossatura si sviluppano interventi migliorativi dell’organizzazione. Il più immediato sarà l’attivazione vicino ai Pronto soccorso di letti di «Osservazione breve estensiva» riservati ai pazienti stabilizzati ma non ancora in grado di tornare a casa. E che adesso vengono ricoverati in reparto, quindi occupano letti ad alto costo destinati agli acuti. Le nuove aree accoglieranno per più di 48 ore persone operate in Day Surgery, altre che hanno completato il ricovero programmato ma non possono essere dimesse perché è sabato oppure necessitano di ulteriori controlli però abitano lontano, o ancora soggetti con un quadro clinico in evoluzione e quindi da tenere d’occhio.
In questa visione rientra l’ampliamento delle competenze «geriatriche» del Pronto soccorso, che potrà disporre direttamente l’accesso dei pazienti alle strutture intermedie, deputate ad accogliere soggetti non più acuti ma nemmeno dimissibili.
Le reti
L’altra parola d’ordine è la personalizzazione delle cure e la possibilità per ciascun malato di «avvantaggiarsi rapidamente delle innovazioni cliniche e tecnologiche e di percorsi sviluppati sui propri bisogni e nei luoghi a lui più vicini». E quindi saranno implementate
68 Sono gli ospedali veneti, che erogano ogni anno circa 80 milioni di prestazioni. Sono 2 milioni gli accessi ai Pronto Soccorso
l’anagrafe vaccinale, sono complessivamente 85mila fino ai 16 anni): un numero molto elevato, soprattutto se considerato che in base al decreto Lorenzin dovrebbero essere già tutti esclusi dalle lezioni e dalla comunità scolastica.
La Regione in merito all’obbligo ha tenuto fin da subito una linea morbida: il governatore Luca Zaia, che aveva contestato il decreto, non ci tiene a fare la parte «dell’inquisitore» e di cacciare i bambini dalle scuole non ci pensa nemmeno. E così Treviso, per prima, trova una soluzione di compromesso fra teoria e pratica, in una responsabilità condivisa fra scuole e Ulss per uscire dal caos.
«Una linea comune era una necessità avvertita dai dirigenti, per capire che atteggiamento tenere nelle situazioni più complicate e sull’applicazione della circolare regionale» hanno detto al termine del vertice la dirigente dell’ufficio scolastico provinciale Barbara Sardella e Francis Contessotto, presidente della Fism.
L’Usl 2 ha ora due tipi di elenchi da analizzare: il primo con i documenti relativi a esoneri vaccinali e certificati medici; il secondo con gli inadempienti «totali»: è su di loro che si concentreranno le attenzioni del personale sanitario.
I numeri nella Marca sono considerati soddisfacenti dal dipartimento di prevenzione. Sono circa 38mila i bambini fra 0 e 6 anni che frequentano i nidi e gli asili della Marca e di questi, la stima è che 300 siano «non in regola», senza alcuna dose vaccinale. Il numero dei bambini non immunizzati, spiega il responsabile del dipartimento Mauro Ramigni, da aprile è sceso del 40% con una copertura dal 93 al 95%; la zona della provincia in cui la percentuale di adempimenti è più bassa è la Pedemontana, ai confini con il Bassanese, considerato (a ragion di cifre) un territorio di forte orientamento no-vax. Una buona percentuale di genitori contrari all’obbligo ha già risposto tenendo a casa i bimbi dall’asilo spontaneamente; in due casi sono state le scuole materne Fism a comunicare alle famiglie che i piccoli non avrebbero potuto entrare in classe.
Il tema si riproporrà a settembre ma per allora i registri e la documentazione in possesso delle Usl saranno completi: le iscrizioni saranno consentite solo ai bambini in possesso della certificazione medica, dell’adempimento vaccinale o di un esonero motivato. Salvo deroghe.
Cinquetti Facciano il nostro mestiere: convincere le famiglie a vaccinare La Fism Una linea comune era una necessità avvertita dai dirigenti