Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
INNOVARE NEL SEGNO DI GALILEO
Sul veicolo delle più avanzate tecnologie produttive, la manifattura veneta intende accelerare la sua corsa, mentre le emergenti infrastrutture dell’innovazione, dalla comunità Unismart d’innovazione tecnologica al Competence Center del Nordest, promuovo l’imprenditorialità innovativa, e il diffondersi degli spazi condivisione di un ambiente di lavoro (il «coworking») fa intravedere un nuovo rinascimento imprenditoriale. Al tempo dei Medici, le botteghe fiorentine erano comunità di creatività e innovazione, luoghi d’incontro tra pittori, scultori e altri artisti, architetti, matematici, ingegneri, anatomisti e ricchi mercanti in veste di mecenati. Gli apprendisti, i lavoratori, gli artigiani, gli ingegneri, gli artisti in erba e i loro ospiti collaboravano coordinati da un artista di spicco, il fulcro della bottega – il «Maestro». Il coworking è dunque un crogiolo dove si fondono insieme valori estetici ed espressivi, sociali ed economici. L’orizzonte delle possibilità è ancora più ampio di quanto sia visibile mediante le lenti del coworking. Per costruire il futuro serve reinventare le infrastrutture della socialità spontanea su cui poggia l’innovazione. Gli Innovation Talks, colloqui sull’innovazione presso l’Università di Padova da domani al 19 maggio nell’ambito della settimana padovana dell’innovazione richiamano alla memoria i caffè e i salotti di conversazione.
Come dimenticare che negli anni del miracolo economico interi comparti manifatturieri furono incubati proprio nei caffè, dove operai e tecnici mentre giocavano a carte discutevano animatamente intorno alla loro giornata lavorativa? Viaggiando nel tempo, riaffiora il ricordo delle botteghe da caffè, forme molto aperte di vita sociale, che si diffusero a Venezia sin dalla seconda metà del XVII secolo, con un seguito all’avvio dell’Ottocento di altre nel Veneto, tra le quali il Caffè Pedrocchi di Padova resta il più famoso. Lì il discorrere spontaneo scavalcava tutte le barriere – che fossero di natura culturale, di rivalità o geografiche – producendo effetti non convenzionali e creando così la giusta atmosfera per la nascita e la diffusione di conoscenze più ampie e più fresche portate dai nuovi arrivati. Accanto ai caffè, i settecenteschi salotti intellettuali di Venezia furono luoghi di incontri per discussioni, dibattiti, scambi di idee e progetti alla base dei progressi della scienza e dell’ingegneria. Per coltivare con successo ambizioni di crescita economica e progresso sociale, c’è da rianimare quei luoghi informali in cui i dibattiti tra punti di vista conflittuali si fanno tanto accesi da sboccare in connessioni inusuali di idee che poi daranno vita a imprese innovative. È lì che, non costretta dall’agenda della routine quotidiana, la creatività si manifesta, predisponendo il carro della produttività a una corsa veloce. Altrettanto importante è riscoprire i salotti veneziani di molte nobildonne che nell’età dell’Illuminismo animarono i circoli letterari. Nei loro palazzi, Giustina Renier Michiel, nipote del penultimo doge di Venezia Paolo Renier, Caterina Dolfin Tron, Marina Querini Benzon e Isabella Teotochi Albrizzi raccolsero una comunità cosmopolita e poliglotta che sviluppò l’arte della conversazione intesa come bene sociale. Come sosteneva Benjamin Franklin, suscitare la conversazione per cambiare insieme è un obiettivo perseguibile «avendo di mira l’informare e il venir informato, il dar parere o il persuadere, adottando il metodo socratico dell’umile investigare e dubitare». Le tecnologie sono fiori incompleti se non coltivati, una volta recisi le erbacce dei pregiudizi, nell’orto della conversazione spontanea.