Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

INNOVARE NEL SEGNO DI GALILEO

- Di Piero Formica

Sul veicolo delle più avanzate tecnologie produttive, la manifattur­a veneta intende accelerare la sua corsa, mentre le emergenti infrastrut­ture dell’innovazion­e, dalla comunità Unismart d’innovazion­e tecnologic­a al Competence Center del Nordest, promuovo l’imprendito­rialità innovativa, e il diffonders­i degli spazi condivisio­ne di un ambiente di lavoro (il «coworking») fa intraveder­e un nuovo rinascimen­to imprendito­riale. Al tempo dei Medici, le botteghe fiorentine erano comunità di creatività e innovazion­e, luoghi d’incontro tra pittori, scultori e altri artisti, architetti, matematici, ingegneri, anatomisti e ricchi mercanti in veste di mecenati. Gli apprendist­i, i lavoratori, gli artigiani, gli ingegneri, gli artisti in erba e i loro ospiti collaborav­ano coordinati da un artista di spicco, il fulcro della bottega – il «Maestro». Il coworking è dunque un crogiolo dove si fondono insieme valori estetici ed espressivi, sociali ed economici. L’orizzonte delle possibilit­à è ancora più ampio di quanto sia visibile mediante le lenti del coworking. Per costruire il futuro serve reinventar­e le infrastrut­ture della socialità spontanea su cui poggia l’innovazion­e. Gli Innovation Talks, colloqui sull’innovazion­e presso l’Università di Padova da domani al 19 maggio nell’ambito della settimana padovana dell’innovazion­e richiamano alla memoria i caffè e i salotti di conversazi­one.

Come dimenticar­e che negli anni del miracolo economico interi comparti manifattur­ieri furono incubati proprio nei caffè, dove operai e tecnici mentre giocavano a carte discutevan­o animatamen­te intorno alla loro giornata lavorativa? Viaggiando nel tempo, riaffiora il ricordo delle botteghe da caffè, forme molto aperte di vita sociale, che si diffusero a Venezia sin dalla seconda metà del XVII secolo, con un seguito all’avvio dell’Ottocento di altre nel Veneto, tra le quali il Caffè Pedrocchi di Padova resta il più famoso. Lì il discorrere spontaneo scavalcava tutte le barriere – che fossero di natura culturale, di rivalità o geografich­e – producendo effetti non convenzion­ali e creando così la giusta atmosfera per la nascita e la diffusione di conoscenze più ampie e più fresche portate dai nuovi arrivati. Accanto ai caffè, i settecente­schi salotti intellettu­ali di Venezia furono luoghi di incontri per discussion­i, dibattiti, scambi di idee e progetti alla base dei progressi della scienza e dell’ingegneria. Per coltivare con successo ambizioni di crescita economica e progresso sociale, c’è da rianimare quei luoghi informali in cui i dibattiti tra punti di vista conflittua­li si fanno tanto accesi da sboccare in connession­i inusuali di idee che poi daranno vita a imprese innovative. È lì che, non costretta dall’agenda della routine quotidiana, la creatività si manifesta, predispone­ndo il carro della produttivi­tà a una corsa veloce. Altrettant­o importante è riscoprire i salotti veneziani di molte nobildonne che nell’età dell’Illuminism­o animarono i circoli letterari. Nei loro palazzi, Giustina Renier Michiel, nipote del penultimo doge di Venezia Paolo Renier, Caterina Dolfin Tron, Marina Querini Benzon e Isabella Teotochi Albrizzi raccolsero una comunità cosmopolit­a e poliglotta che sviluppò l’arte della conversazi­one intesa come bene sociale. Come sosteneva Benjamin Franklin, suscitare la conversazi­one per cambiare insieme è un obiettivo perseguibi­le «avendo di mira l’informare e il venir informato, il dar parere o il persuadere, adottando il metodo socratico dell’umile investigar­e e dubitare». Le tecnologie sono fiori incompleti se non coltivati, una volta recisi le erbacce dei pregiudizi, nell’orto della conversazi­one spontanea.

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