Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Inferno Acciaierie, in mille al presidio
Solidarietà ai feriti. Il collega di Bratu: «Incubi tutte le notti, non tornerò in fabbrica»
Dopo l’incidente alle Acciaierie Venete, ieri i sindacati hanno radunato un migliaio di lavoratori davanti allo stabilimento e hanno chiesto all’azienda di aiutare le famiglie degli operai coinvolti. Quindi una delegazione è andata in ospedale.
La rabbia continua ad ardere tra i lavoratori delle Acciaierie Venete. Ieri mattina un migliaio di lavoratori da tutto il Veneto si sono radunati di fronte alla sede del terribile incidente di domenica mattina per tenere alta l’attenzione su ciò che è accaduto ai loro colleghi, due dei quali, Sergiu Todita e Marian Bratu, sono ancora in pericolo di vita (ma resta grave anche David Di Natale, ricoverato a Verona). «È necessario che l’organizzazione del lavoro diventi materia di contrattazione, il rapporto deve essere alla pari», ha detto Aldo Marturano, segretario generale della Cgil di Padova.
I sindacati hanno chiesto all’azienda di aiutare economicamente le famiglie degli operai coinvolti nell’incidente mentre a coprire le spese mediche dovrebbe essere Metasalute, un fondo nazionale per gli operai metalmeccanici. È intervenuto anche il consigliere regionale Piero Ruzzante (Leu) che il 26 marzo scorso aveva presentato una mozione chiedendo più controlli del Servizio di prevenzione, igiene e sicurezza negli ambienti di lavoro (Spisal), la formazione sulla sicurezza per datori di lavoro e lavoratori, e l’istituzione di un registro dei quasi incidenti. Il 26 maggio si prepara un’altra manifestazione in piazza dei Signori.
Dopo il presidio, il segretario generale della Fiom di Padova, Loris Scarpa, e altri delegati sono andati in ospedale per conoscere la moglie di Marian Bratu, ricoverato in rianimazione. «È sotto choc – dice Scarpa dopo aver parlato con lei –. Qui non ha parenti e vorremmo aiutarla. Ci stiamo muovendo per aprire un conto corrente per lei e le altre famiglie colpite dall’incidente». Seduto di fronte alla porta del reparto c’è Costantin, un collega e amico di Marian. «Vengo qui tutti i giorni. Non entro perché ho paura di passargli dei batteri, lui è molto fragile in questo momento. Ma voglio che mi senta vicino», racconta. Quando passano gli infermieri con la barella di Marian, Costantin lo segue con lo sguardo. L’operaio è fasciato dalla testa ai piedi, sembra una mummia. Si vedono solo gli occhi e una parte del piede sinistro.
Anche Costantin si occupa delle gru ma in un altro reparto rispetto ai colleghi ustionati. Quella domenica mattina era passato proprio sotto la vasca di acciaio incandescente, dieci minuti prima che rovesciasse l’inferno. «Marian aveva iniziato il turno da poco, avrebbe finito alle due. So che voleva passare il resto della giornata a giocare con i suoi figli», spiega Costantin. Anche lui ha due bambini e non c’è minuto in cui non pensi che al posto di Marian poteva esserci lui. «Mi sveglio la notte a causa degli incubi. Mi tocco le braccia perché ancora non mi rendo conto di quello che è successo, mi sembra che non sia reale. Non so se resterò in Italia – continua scuotendo la testa – Vorrei tornare a Galati, in Romania. Non me la sento di tornare all’acciaieria, un incidente del genere è inconcepibile. Come puoi andare a lavorare e non sapere se tornerai a casa?».