Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Centro clandestini ora Zaia apre «Può essere utile»
Da Re: uno in ogni hub. Cona, ira del sindaco
Torna l’idea di aprire dei centri di identificazione ed espulsione (Cie) in Veneto. Il progetto è quello del neo ministro dell’Interno Matteo Sal- vini. Il governatore Zaia, contrario nel 2017, ora apre: «Possono essere utili». Intanto il segretario Da Re spiega: «Ce ne sarà uno in ogni grande hub». Malumori nel partito.
«Un Cie in ogni Regione? In Veneto non se ne parla, alle condizioni attuali il mio “no” è totale, granitico». Così esternava il governatore veneto Luca Zaia nel gennaio 2017, commentando il «decreto migranti» appena presentato dall’allora ministro dell’Interno Pd, Marco Minniti. Ad un anno e mezzo di distanza da quelle dichiarazioni può intuirsi il motivo per il quale oggi, in una fetta di Lega, aleggi un certo senso di spaesamento. Come si sa, infatti, il nuovo titolare del Viminale — che per inciso è anche il capo politico del partito, cioè Matteo Salvini — ha già fatto sapere di essere intenzionato ad aprire un «Centro di identificazione e espulsione» in ogni regione. Veneto compreso. Quindi come conciliare anni di battaglie — per dirne una: si ricorderà quella del 2008, allorché il ministro Bobo Maroni annunciò di voler istituire un Cie ad Abano Terme — con questa nuova strategia di governo? E come far digerire una simile scelta al territorio?
«La ricetta rischia di essere un boomerang — titolava ieri Il Giornale, con riferimento all’iniziativa del vicepremier —. Salvini dovrà aprire nuovi Cie nelle Regioni a guida leghista». Nel Carroccio le perplessità, come spesso accade, vengono sussurrate a denti stretti, con i più critici che chiedono l’anonimato. Altri esponenti, invece, preferiscono attendere. «Vorrei prima sentire cosa ci dirà Salvini — spiega per esempio l’onorevole Arianna Lazzarini, che è anche sindaco di Pozzonovo nel Padovano —. Mi affido a lui. Certo, se decidessero di aprire il Cie nel mio Comune non sarei proprio contenta. Ma ripeto, prima fateci capire». E sulla stessa linea è il sindaco di Castelfranco Veneto, Stefano Marcon, che è anche presidente della Provincia di Treviso: «Se, e ribadisco se, i Cie saranno gli stessi di quelli che abbiamo sin qui conosciuto — afferma — non penso che sia proprio il caso di realizzarne uno nel Trevigiano».
Ma il diktat che arriva dal Viminale appare chiarissimo. E a farsene interprete, in modo piuttosto netto, è il segretario nazionale della Lega, il trevigiano Gianantonio Da Re. «La nostra sarà una identificazione a chilometro zero — attacca l’ex sindaco di Vittorio Veneto —. Faremo quello che non hanno mai fatto sin qui le prefetture. Identificare chi non ha motivi di restare e rimandarlo nel suo Paese. La voce sarà una sola: anda, anda...». E Da Re aggiunge: «I nostri Cie non saranno certo quelli della Caritas o delle cooperative, ma saranno quelli della Lega. Noi rimanderemo a casa i nullafacenti, quelli che ciabattano e perdono tempo. Non sono mica loro, come qualcuno vuole farci intendere, a pagarci le pensioni. Quelli sono intrusi, commenti a iosa, per la stragrande maggioranza positivi. «Bravo», «Rispetto per le istituzioni», «Un esempio», «Stile e senso civico». Maggioranza, si diceva. «Ti sarai fatto la doccia col fuoco per decontaminarti da sto fascistone?» ha commentato un amico pescarese. E un altro utente ha rincarato la dose: «Va bene ricevere le istituzioni, ma c’è modo e modo, altrimenti sembra che cerchi voti a destra, certe foto sono imbarazzanti». Poi sono arrivati due esponenti di centrodestra: «Prima era il segretario della Lega e quindi niente smancerie, adesso è ministro dell’Interno ed è amore? È il bacio di Giuda», scrive un candidato in lista con Conte, mentre il leghista Giovanni Bernardelli, presidente del Consiglio comunale di Conegliano, in poche parole replica così: «Ma non eravamo fascisti, nazisti, incapaci?».
A rincarare la dose è arrivata una video-risposta di Said Chaibi, candidato sindaco della sinistra trevigiana. Per le posizioni troppo «ideologiche» del suo gruppo è stato escluso dalla coalizione manildiana e da alleato è diventato portati e voluti dal Pd». Ma dove sarà fissato il Centro promesso da Salvini? «Non ce ne sarà uno solo — preannuncia però il segretario nazionale —. Ne faremo in tutti i centri di grande accoglienza, che attualmente ci sono nel nostro territorio. E quindi a Cona, Bagnoli, nella caserma “Serena” di Treviso, a Vittorio Veneto. Saremo noi ad aprire degli uffici in quei luoghi, portando il personale che dovrà valutare le richieste. Altro che le commissioni delle prefetture!».
Una prospettiva questa che atterrisce Alberto Panfilio, sindaco di Cona, Comune dove si trova il più grande centro di accoglienza dei migranti in Veneto (attualmente ne sono 574 migranti; ma l’anno scorso erano arrivati ad essere 1400): «Solo uno squilibrato aprirebbe un centro di identificazione in una tendopoli — reagisce il primo cittadino —. Io lo aprirei invece in una caserma o in un’area industriale. Il problema dell’immigrazione non può essere risolto solo con questi strumenti, servono sinergie più complesse». Ma l’aria sembra cambiata.
D’accordo con l’idea di Salvini è anche l’assessore regionale all’Istruzione Elena Donazzan (Forza Italia): «È un’apertura di credito verso Matteo, si gioca tutto». E pure lo stesso Zaia ora è possibilista. «Nel quadro di un progetto organico — ha dichiarato ieri il presidente della Regione a Monfalcone — ci sta che chi non ha diritto a stare in Italia, non possa andarsene per strada in assoluta libertà. Per cui strutture con un centinaio di posti e non oltre possono essere utili in attesa che si decida se un extracomunitario ha diritto al riconoscimento di profugo oppure no». sfidante: «Giovanni, ma che stai facendo! - esclama Chaibi -. I rapporti istituzionali vanno preservati ma Salvini è il nostro avversario politico, è il nemico! È razzista, xenofobo e omofobo, e tante cose che già sai senza che io le ripeta».
Perfino La Repubblica ha criticato «l’abbraccio spericolato» tra il sindaco Pd e il segretario leghista. Così Manildo ha pensato di spiegare meglio la sua posizione: «Non capisco chi si stupisce di un saluto istituzionale al ministro dell’Interno. Mi piacerebbe che ci si fosse stupiti di più dell’ordine di scuderia della Lega di vietare ai sindaci di incontrare il ministro Minniti. Un sindaco “di parte” non deve esistere. Io sono il sindaco di tutti i trevigiani». Manildo era già finito nel mirino dopo aver speso parole di ammirazione per l’ex sindacosceriffo leghista Giancarlo Gentilini, «non per le sue idee ma per la dedizione alla città». Insomma, tempi duri per il fair play.
Manildo Non capisco chi si stupisce di un saluto istituzionale