Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Mognato, da deputato a operaio della Metro «Quante facce stupite»
«Sono tornato alla vita reale che prima leggevo, della quale discutevo con gli altri, sulla quale presentavamo disegni di legge. Volevo cambiarla ma la rabbia è che non ci siamo riusciti. Ho la consolazione che le riforme che hanno peggiorato le condizioni sul lavoro, a scuola, per le pensioni, io non le ho votate». Dagli scranni di Montecitorio, da due mesi e mezzo Michele Mognato è passato agli scaffali della Metro a Marghera. Fino al 4 marzo è stato deputato di Leu. Papà comunista, lui prima tessera della Figc 40 anni fa, dopo 18 anni trascorsi alla Metro da magazziniere e rappresentante sindacale, altri 18 li ha passati nei Ds e nel Pd a tempo pieno: segretario provinciale, assessore e vicesindaco di Venezia, poi deputato. Il 14 giugno saranno 36 anni dalla prima busta paga al colosso della distribuzione all’ingrosso per retailer.Quarant’anni a fare politica, conoscere le persone, le relazioni, le strategie, gestire la complessità di un bilancio come quello del Comune di Venezia e un partito che semplice non è, entrare nei labirintici meccanismi della formazione delle leggi. Mognato: non si sente sprecato, tra gli scaffali? «In 18 anni ho maturato esperienze diverse, belle, sviluppando temi che non avrei conosciuto stando solo nel mondo del lavoro. La vita è così e avevo messo in conto che facendo politica e scegliendo di uscire dal Pd per andare in un piccolo partito, l’esperienza poteva finire. Non sono né il primo né l’ultimo politico che torna a lavorare». Un tempo i partiti si facevano carico di chi interrompeva la carriera, gli scatti di anzianità. «Sì. Oggi le cose sono cambiate e se hai un lavoro bene, altrimenti ci si deve arrangiare. Fortunatamente io ho un impiego, ho fatto onestamente il mio lavoro in questi anni, ho la mia dignità. Mio padre, un camionista comunista, mi ha sempre insegnato a stare con la schiena dritta e mai il cappello in mano. Capisco che il fatto che uno torni a fare l’addetto alle vendite, l’operaio faccia notizia».Come è stato il primo giorno? «Bello. Ho trovato vecchi colleghi. Ma è tutto cambiato. Prima eravamo in 200, adesso tra contratti vari, siamo 40. Il mio vecchio reparto, il magazzino, di fatto non esiste più: ci lavora una sola persona. Quando fui assunto eravamo in 40». Ha fatto formazione, per rientrare? «No. Un colloquio col direttore. Lui mi dava del tu, io gli davo del lei. C’è questa moda di chiamarsi tutti per nome per dare la sensazione di fare squadra. Ma alla fine la sostanza non cambia». Pensione? «Nel 2025, a 64 anni fatta salva la riforma Fornero, che potevamo fare noi». Sta dicendo che spera che il governo Lega-M5s la abolisca?«Avevamo fatto noi la proposta di modifica! La legge Damiano. Che il Pd non ha voluto portassimo avanti». I peggiori sbagli del Pd? «Riforme della scuola, del lavoro, della legge elettorale. Ha descritto un mondo che non c’era». Tornare a lavorare è stato un mantra politico, in questi anni. E ora che la vedono in tuta blu, come reagiscono gli elettori?«Qualcuno è contento perché dice che finalmente sono tornato a lavorare. Altri si stupiscono». Pochi giorni fa l’Italia si era convinta di dover tornare al voto. Si sarebbe ricandidato? «Non ho mai pensato di appendere la politica al chiodo solo per il fatto di non essere stato rieletto. Non mi arrendo. Serve un’alternativa alla Venezia di Brugnaro, al piglio padronale».
” Mognato Le riforme che hanno peggiorato il Paese non le ho votate. Mi consola