Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Investito dall’acciaio fuso Sergiu non ce l’ha fatta
Padova, firmato il dissequestro dell’azienda ma ora si indaga per omicidio colposo
È morto ieri mattina Sergiu Todita, uno dei 4 operai investiti dall’acciaio fuso.
Una telefonata, arrivata a tarda sera. Poche parole, quelle che forse molti si aspettavano da giorni, ma che hanno comunque lasciato nello sgomento tutti, per annunciare la morte di Sergiu Todita, l’operaio che il 13 maggio scorso era stato investito da un’infernale bolla di calore generata da tonnellate di acciaio fuso precipitate a terra. Da quel giorno, Sergiu e il collega Marian Bratu sono rimasti ricoverati nei centri grandi ustionati rispettivamente di Cesena e Padova, a lottare tra la vita e la morte. Una battaglia che, se impegna ancora Marian, poco dopo la mezzanotte tra martedì e mercoledì Sergiu ha smesso di combattere. Sono stati i medici a chiamare la moglie dell’operaio quarantenne. E la donna ha ascoltato la telefonata in poltrona, nella casa nel quartiere padovano dell’Arcella dove abitava da anni con suo marito, ha avvertito i parenti più vicini, e si è asciugata gli occhi: non voleva che la figlia tredicenne sapesse nulla. Solo al ritorno da scuola le ha riferito quanto accaduto. La notizia, però, si è diffusa subito tra i colleghi di lavoro di Sergiu. E così ieri un centinaio tra amici e operai si è ritrovato davanti ai cancelli dello stabilimento chiuso da 25 giorni, da quando l’enorme siviera si è staccata dal carroponte, gettando tutto intorno schizzi di acciaio fuso e trasformando il capannone in un inferno dominato solo da grida terrorizzate, frastuono di sirene e schianti di travi crollate a terra. A distanza di settimane, c’è solo il silenzio sgomento degli operai stretti l’un l’altro, alcuni ancora con le tute e i caschi sporchi di polvere. Nessuno ha voluto dire una parola per ricordare quel gigante sorridente arrivato dalla Moldavia anni fa. Ieri i sindacati, insieme al sindaco di Padova e a quello di Cadoneghe, dove abita Marian, hanno scritto una lettera al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per chiedere sia per Bratu che per i familiari di Todita la cittadinanza italiana, in modo tale che possano ottenere tutte le forme di assistenza necessarie. Del resto la sua vita ormai era a Padova: nel suo Paese d’origine non aveva più né genitori né fratelli o sorelle. Qui Todita aveva ricostruito una nuova famiglia, composta anche da quegli amici che ieri, davanti l’ingresso della fabbrica, hanno detto in moldavo una preghiera e acceso tante piccole candele. «Non riesco a dire molto, rischio che la voce si fermi – ha detto, quasi sussurrando, Stefano Lazzarini, della rsu aziendale e delegato Fiom -. Sapevamo la gravità della situazione, ma abbiamo sperato che la fine fosse diversa». E mentre Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm hanno indetto due ore di sciopero tra ieri e oggi in tutte le aziende metalmeccaniche di Padova e hanno annunciato una manifestazione unitaria per la prossima settimana, chiedendo alla Regione di convocare un tavolo sulla sicurezza, il procuratore aggiunto di Padova Valeria Sanzari ha firmato il dissequestro dell’area, aggiungendo però alle accuse di lesioni colpose nei confronti dei rappresentanti delle Acciaierie e della ditta Danieli, costruttrice del perno che sorreggeva la siviera, anche quella di omicidio colposo. E mentre il vescovo di Padova Claudio Cipolla ha mandato una preghiera ai familiari di Todita, anche il presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, ha rivolto un pensiero ai familiari di Sergiu: «Rinnovo il mio impegno per stimolare il Parlamento ad affrontare l’emergenza delle morti bianche». Vicinanza anche dall’azienda: «E’ un momento di dolore anche per noi – dice Francesco Semino, responsabile delle relazioni esterne – e ribadiamo che tutto quello che si potrà fare per la famiglia, sarà fatto».