Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
L’ictus, i due figli e l’eredità contesa
Un padre in un letto d’ospedale e il tremendo dubbio se insistere con le cure o lasciarlo andare. Una moglie che non si rassegna alla morte inesorabile del giovane marito. Una madre che vuole continuare a tenere in vita il figlio, anche se solo con le macchine. Sono le storie drammatiche che ieri pomeriggio sono state illustrate in un convegno organizzato dall’Ordine dei medici di Padova sulle sfide mediche che la nuova legge sulle Dat, le disposizioni anticipate di trattamento entrate in vigore a gennaio, impongono. «La nuova legge – ha spiegato Paolo Simioni, presidente dell’Ordine – ci spinge a riflettere sulla proporzionalità delle cure».
E che i dubbi siano molti, lo dimostrano i casi limite che i medici padovani si sono trovati ad affrontare in questi anni prima della legge di questi testamenti biologici da depositare nei Comuni. Eppure il dubbio che effettivamente la Dat avrebbe evitato una lotta intestina tra fratelli rimane nel primo dei casi presentato, risalente al 2013. Protagonisti, un ex professore universitario di 72 anni che, quando ancora era in salute, lascia al figlio, ingegnere affermato, uno scritto: «In caso di malattie cerebrali voglio essere lasciato morire». Una prospettiva lontana, sembrava, eppure pochi mesi dopo viene colpito da un grave ictus. Il figlio ingegnere si è opposto alle cure, il padre non avrebbe voluto. Il fratello minore, ex studente di medicina, non è però d’accordo: il padre aveva parlato solo di malattie neurodegenerative e, ha lasciato intendere, se l’altro figlio vuole lasciarlo andare è solo per l’eredità. A porre fine alla discussione è stata solo la morte del paziente davanti ai medici rimasti impotenti. E se in questo caso la vittima aveva lasciato indicazioni scritte, nel secondo neanche l’aver pronunciato la propria insofferenza alle cure è servito ad evitare l’accanimento terapeutico. Al centro della storia, stavolta, c’è Riccardo, architetto che a 34 anni ha scoperto una malattia oncologica senza speranze. Voleva lasciarsi andare, ma la moglie ha fatto di tutto per fermare i medici fino alla morte naturale tra atroci sofferenze. E’ invece ancora in vita David, bimbo di tre anni, figlio di rifugiati ghanesi, la cui storia ha profondamente scosso i medici, come Franca Benini, responsabile del centro di riferimento veneto di Terapie del dolore e Cure palliative pediatriche. La madre infatti rifiuta di lasciare andare il figlio ridotto allo stato vegetale da un gravissimo incidente. «Ho già perso tre figli – ha spiegato la madre – se perdo anche David rischierei di venire ripudiata da mio marito». Casi drammatici, che evidenziano anche la sofferenza dei medici che hanno in cura i pazienti e che altro non fanno che proporre solo dubbi. «La medicina può fare tante cose – ha concluso Corrado Viafora, docente di Bioetica -, ma il rischio è di violare la dignità umana. Le Dat ci pongono di fronte a una nuova sfida». (a.t.c.)