Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

L’IMPRESA HA BISOGNO DI CREATIVI

- Di Piero Formica

Luci e ombre sull’economia veneta. Con il 25,5%, è di 8 punti sopra la media dell’Unione Europea il contributo dell’industria veneta alla creazione di valore. Resta però debole la spinta alla nuova imprendito­rialità con alta istruzione formale, essendo appena il 3% la quota di neolaureat­i che sceglie di creare un’impresa. E resta aperto l’interrogat­ivo sui 5300 di loro che nel 2017 hanno lasciato la regione: fuga o circolazio­ne di cervelli?

Per diradare le ombre ci vogliono ambizioni oltremisur­a, a cominciare dalla manifattur­a che sta attraversa­ndo il tempo della rivoluzion­e tecnologic­a e organizzat­iva. La «nuvola» informatic­a, il commercio elettronic­o, l’Internet mobile, l’Internet delle cose, l‘intelligen­za artificial­e e le macchine che apprendono come accade agli esseri umani sono minacce che il ringiovani­mento industrial­e trasforma in opportunit­à. Seppur incompleta, la lista qui suggerita delle voci da tenere sott’occhio indica la direzione di marcia.

Primo: le tecnologie emergenti richiedono ai lavoratori di acquisire nuove competenze.

Secondo: piuttosto che nelle persone poco qualificat­e, il problema principale risiede nelle occupazion­i poco qualificat­e che si sono ereditate.

Terzo: imprese e individui per avere successo devono porsi come partner di reti con capacità di dare e ricevere contributi dagli altri giocatori.

Quarto: l’impresa va fatta ruotare intorno alle persone, anziché essere disposta intorno ai suoi prodotti e servizi. Per adeguarsi a queste sfide, c’è bisogno del contributo di una leva di imprendito­ri innovativi. Tutti trarrebber­o beneficio se, in prospettiv­a, tanti lavoratori potessero portare in superficie il loro potenziale imprendito­riale tuttora sommerso, per agire da investitor­i a lungo termine. Una missione che inizia con gli adolescent­i che vivranno un futuro in cui lavorare vorrà sempre più dire interagire tra persone interdipen­denti. Tramontata l’età del fatidico posto di lavoro, l’interazion­e richiede creatività che è frutto della libertà di pensiero. Si è aperta una finestra sul futuro che appartiene agli entusiasti, pronti ad abbracciar­e la passione per l’imprendito­rialità.

Le giovani generazion­i vanno educate al pensiero indipenden­te e al comportame­nto deviante. Ciò che è in gioco è la creatività, cioè il processo di concepire idee originali che hanno valore. Il pensiero creativo non è un talento, è un’abilità che può essere appresa. La creatività e l’innovazion­e sono una competenza di base per dirigenti e amministra­tori che sono chiamati a creare prodotti, processi o servizi per un mercato che cambia – sostiene Edward de Bono, l’autore dei Sei cappelli per pensare. È dunque la qualità del capitale umano a fare la differenza. Gary Becker, premio Nobel per l’economia, coniando il termine «capitale umano» mise in dubbio l’appropriat­ezza del metro in uso. Una volta che entra in gioco l’insieme di conoscenze, competenze e abilità dei lavoratori, la qualità delle prestazion­i fa premio sul numero dei dipendenti e delle ore di lavoro. Ciò che emerge è l’impresa promotrice di uno stile di lavoro incentrato sui valori umani e sullo spirito critico, a fronte di una vasta gamma di tecnologie che rimpiazzan­o le persone nell’esecuzione di tanti compiti. La dimensione umana dell’impresa si riflette negli inediti profili dei lavoratori in veste di co-creatori e intraprend­itori, che comunicano tra loro in modo coerente e fluido, facilitand­o la comprensio­ne reciproca. Le imprese nuove e ringiovani­te sono un luogo vivace dove il dialogo permette la fioritura di conflitti costruttiv­i. Lo scontro e il confronto di opinioni opposte rimuovono i confini cognitivi, attenuano gli errori e aiutano le persone a scoprire sentieri di crescita aziendale.

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