Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Noi, nel call-center dei finti sondaggi «Ora devi pagare»
L’inchiesta Nel mirino centinaia di donne Per capire come funziona ci siamo fatti assumere
Un call center che opera all’interno di un monolocale a Padova, proponendo un finto sondaggio e la promessa di una tessera sconti «in regalo» alle donne venete. In realtà è soltanto il mezzo per L’IN far firmare un contratto che le vincolerà a comprare merce CHIE per oltre 2.900 euro. Il tutto attraverso STA una società con sede in uno strano appartamento all’interno di un condominio di Treviso. Per capire come funziona, ci siamo fatti assumere come telefonisti da quella che si è rivelata una piccola «fabbrica di bugie».
Dica la verità: vuole vendermi qualcosa». «Vendere? Ma no, signora, come le viene in mente... È solo un sondaggio…». «Un sondaggio». «Sì, solo un sondaggio». «Allora va bene, fidiamoci. Facciamo questo sondaggio».
Fidiamoci. Ecco, al telefono è più facile. Davanti a me non c’è un corpo, soltanto una voce che arriva alla cornetta. Un fantasma senza volto. E a un fantasma si può mentire, o almeno provare a colorargli i dettagli fino a rendere ogni parola verosimile.
Un passo indietro. Tutto inizia ad aprile: una mamma vicentina racconta al Corriere del
Veneto di aver accettato di rispondere alle domande di un call center. «In cambio, hanno detto di volermi fare un regalo. E quando, il giorno dopo, alla porta di casa si è presentato quell’uomo chiedendomi di firmare un modulo, io l’ho fatto...». Credeva stesse per consegnarle una tessera-sconti. «In realtà ho sottoscritto un contratto che mi impegna ad acquistare merce per 2.900 euro». A questa fanno seguito altre testimonianze simili, tutte da parte di donne che raccontano la stessa sequenza: una telefonata, l’appuntamento per ritirare un premio, e il tentativo di far loro firmare un accordo che le vincola a spendere migliaia di euro.
Uno strano condominio a Treviso
La società che compare sul contratto si chiama Casaconvenienza Group Srls e dal registro delle imprese risulta costituita il 21 marzo con un capitale sociale di mille euro e attività dichiarata di «vendita al dettaglio di biancheria e articoli per la casa a domicilio». La sede legale è in via Borin 48 a Treviso. E qui cominciano le prime stranezze. A quell’indirizzo c’è un condominio e all’interno dello stesso appartamento hanno sede non solo Casaconvenienza ma altre quindici società, quasi tutte a responsabilità limitata. Tra loro anche «Spazio Casa» il cui nome compare su un sito dell’Aduc, l’associazione dei consumatori, con una denuncia «di potenziale truffa» che inizia così: «Sotto false dichiarazioni, ho sottoscritto un contratto di commissione dove sono obbligata a impegnarmi per tre anni ad acquistare beni per un valore annuo di 2.990 euro più Iva…». La chiamano «la truffa del catalogo».
Non solo. In via Borin 48 aveva sede anche la Servizi Grafici per Editoria e Pubblicità, una società fittizia riconducibile all’imprenditore Cristiano Levada processato nel 2012 per truffa e ricettazione: apriva aziende che in realtà esistevano solo sulla carta (tra le tante, anche Rcs Italia, che scimmiotta il Gruppo del Corriere della Sera) e si faceva consegnare merce senza pagarla.
Insomma, sarà tutto legale ma viene da pensare che il vero fulcro dell’attività di Casaconvenienza non si trovi in quello strano appartamento affollato di sigle alla periferia di Treviso. E infatti sul web si scovano annunci che indicano come sede di lavoro Padova e recitano più o meno tutti così: «Casa Convenienza Srls cerca telefonisti con buona dialetdi tica, stipendio superiore alla norma…». Allettante.
Un call center a Padova
Mi fissano un colloquio per il 7 maggio. L’appuntamento è di fronte a un bar nella periferia di Padova, e quando arrivo mi aspetta Franca. Semplicemente, Franca. Questa cosa la intuisco subito: lì dentro ci si chiama per nome, e - sarà un caso - alla fine di questa esperienza nessuno mi avrà mai detto il proprio cognome, né chiederanno il mio. Non serve, o è meglio così. Mi accompagna in quella che sembra essere la vera sede operativa di Casaconvenienza: un appartamento al pianterreno in via Pelosa. Nulla di scritto sul campanello. È un’unica stanza e ci tiene a mostrarmela subito: da un lato c’è la sua scrivania e noto subito dei raccoglitori con all’interno decine di contratti identici a quello sottoscritto dalla mamma vicentina; dall’altro ci sono tre signore e un ragazzo seduti a un tavolino che parlano al telefono. «Preso!» esclama una di loro, dopo aver riagganciato. Il significato di quella parola, lo scoprirò presto.
«Niente forze dell’ordine»
Ci sediamo. Franca è il capo e sovrintende a quella che si rivelerà una piccola ma efficiente fabbrica di bugie. Dice di essere sposata con un poliziotto. E va dritta al sodo. «Dovrai contattare donne, solo donne, sopra i 35 anni d’età: operaie, casalinghe, commesse e pensionate. Niente maschi, niente forze dell’ordine, niente impiegate». Il motivo? «I mariti rompono i c., fanno domande. Le impiegate oppure le libere professioniste, invece, sono più esperte e magari leggono le clausole del contratto». E le forze dell’ordine? «Qualsiasi call center evita polizia, finanza e carabinieri perché possono creare problemi, denunciare… E qui non vogliamo casini».
Insomma, il target è ben definito. «Farai loro un sondaggio: tre domandine. Ma in realtà non ce ne frega niente di quello che rispondono». Interessa ciò che viene dopo. «Dirai che, alle signore che rispondono, viene assegnata gratuitamente una carta convenienza che dà diritto a degli sconti su articoli di grandi mar-
chi. Se lo chiede, le spieghi che è una iniziativa fatta per aiutare le imprese italiane a superare la crisi economica, che le aziende si sono unite per dare la possibilità a tante famiglie italiane di pagare i loro prodotti Made in Italy a prezzi di fabbrica. Poi le dici che avrà tre anni di tempo per usarla, che non paga nulla al ricevimento, che passerà un nostro incaricato ad assegnarle la carta convenienza gratuita e a illustrarle come funziona”. Insomma, i concetti di «gratuito» e «italiano» vanno ribaditi al limite dell’insistenza.
Ma posso rivelare che, una volta ritirata la tessera, saranno obbligate ad acquistare merce per 2900 euro? «Non devi parlare di obbligo di acquisto. Se ti chiedono in quali negozi potranno utilizzare gli sconti, rispondi che non lo sai e che l’incaricato le spiegherà l’utilizzo. Ricordati che tu non vendi niente».
A quanto pare, la strategia funziona. «Un telefonista prende 6-8 appuntamenti al giorno», spiega Franca che poi passa a illustrarmi i termini di un’assunzione che, a quanto pare, arriverà solo dopo qualche giorno di prova da affrontare senza alcun contratto. Al call center si lavora dal lunedì al giovedì, dalle 9.30 alle 15.30, per guadagnare 7 euro all’ora, più 5 euro per ogni donna che firmerà. «Arrivi intorno ai 750 euro al mese, si prende bene rispetto a quello che si vede in giro…». Sarà. Comunque il colloquio è andato bene. «Inizi domani».
In sei al lavoro
Arrivo puntuale. Siamo in sei, il più giovane è un padovano di 23 anni, e poi ci sono signore di mezza età, alcune delle quali lavorano con Franca da quasi dieci anni, e un ragazzo del Sud, pure lui «in prova». Su un foglio sono annotate le istruzioni: una specie di canovaccio da recitare durante le conversazioni, ma ciascun telefonista improvvisa come può, pur di raggiungere l’obiettivo. Vengo affiancato a una dipendente esperta: devo imparare da lei l’arte di carpire la fiducia di una sconosciuta restando seduti a una scrivania. Davanti a noi, pagine e pagine piene zeppe di nomi e cognomi di donne, con i rispettivi numeri di cellulare. Sono centinaia, migliaia forse. Come abbia fatto il call center a entrarne in possesso, è un altro mistero che mi porterò dietro. Oggi si battono a tappeto i comuni di Montecchio Maggiore, Sarego (nel Vicentino) e Sesto San Giovanni, in provincia di Milano. I telefonisti compongono il numero e, quando rispondono, si presentano come un fantomatico «Centro Servizi Veneto», che suona affidabile ed è molto simile al «Centro Veneto Servizi» che gestisce le fognature per conto di una sessantina di Comuni tra Padova e Vicenza.
«Signora, tre domandine veloci per un sondaggio riservato alle donne, così sosteniamo le aziende venete in crisi. Che ne dice?». Messa così, difficile dire di no. Le si chiede se fa mai acquisti on-line, se approfitta delle offerte e se si lascia influenzare dalla pubblicità sui giornali. Quesiti semplici, per non mettere l’interlocutrice in difficoltà. Ma è solo l’esca. «A fini statistici, signora, che lavoro fa?». L’unica selezione, tra chi può finire nella rete e chi no. «Pensionata?». Ok, va bene. «Per premiare chi, come lei signora, ha accettato di rispondere al sondaggio, regaliamo una carta convenienza che le darà diritto a uno sconto del 50 per cento su molti prodotti…». Poi, via a ripetere che «le imprese italiane lo fanno per farsi conoscere, per battere la concorrenza cinese…». E infine il momento fatidico: «Mi dica quando potrà passare per la consegna un nostro incaricato che, le assicuro, non farà alcuna vendita né dimostrazione: si limiterà a spiegarle come usare la carta convenienza…». Se accetta, è fatta: si fissa l’orario dell’appuntamento e poi spetterà a qualcun altro portare a casa il contratto. «Il venditore va lì e la fa firmare», taglia corto Franca.
«La gente non si fida»
Dopo un’ora trascorsa ad ascoltare i colleghi più esperti, sono pronto a fare le prime telefonate. È un lavoro molto più difficile di quando sembri: bisogna rimanere sempre concentrati, per improvvisare in caso di necessità, apparire simpatici, accondiscendenti, empatici. «La gente non si fida», mi spiegano. E allora occorre rassicurare quelle donne, ascoltarle quando ci raccontano che sono inferme o che la crisi delle imprese la conoscono bene perché hanno perso il lavoro; dire che non c’è nulla di cui preoccuparsi anzi, perché grazie agli sconti potranno risparmiare e al contempo fare qualcosa di buono per le aziende venete. Alcune sbattono giù il telefono, altre inventano una scusa. Ma contatto almeno un centinaio di donne e la maggioranza risponde al sondaggio. Lo stesso fanno gli altri telefonisti: a metà pomeriggio abbiamo ottenuto decine di appuntamenti per l’indomani, uno ogni mezzora per lasciare il tempo a ciascun venditore di spostarsi da una casa all’altra.
«Un commerciale guadagna quattromila euro al mese», assicura Franca. «Se diventi bravo al call center, magari presto potrai farlo anche tu». Chissà. Intanto, con appena venti minuti di pausa pranzo («Perché a quest’ora le signore rispondono più facilmente al telefono»), il turno è finito e ho contribuito fissando una manciata di incontri nel Vicentino.
Andiamo a casa, si riprende domattina. Cosa accadrà a quelle donne non è più affar nostro. Apriranno la porta a uno sconosciuto, convinte sia venuto a regalare una tesserasconti. Spetterà a lui, spingerle a firmare quel pezzo di carta che non è altro che un contratto che le impegnerà a spendere quasi tremila euro di pentole, lenzuola, materassi... Se lo faranno, per recedere avranno un paio di settimane di tempo, durante le quali Casaconvenienza resterà ferma, in attesa. Appena scaduti i termini, si presenterà a battere cassa.
«Gli ho chiesto se avrei finito col dover pagare qualcosa. Ha dovuto ammettere di sì e poi se l’è data a gambe levate», racconta una delle donne che hanno accettato l’appuntamento.
Un’altra: «L’ho avvisato che avevo fretta perché dovevo andare a prendere mio figlio all’asilo. Mi ha risposto: “Va bene signora, basta una firma qui. Ma più tardi gli dia un’occhiata”. Quando ho ripreso in mano il contratto, ho scoperto che dovevo comprare merce per 2.900 euro». È andata in caserma e un carabiniere ha telefonato al numero riportato sul contratto, il prefisso di Treviso. Non hanno fatto una piega: «Dica alla signora di inviarci una raccomandata con la disdetta, è ancora entro i termini di legge». Qualche volta va male. Ma le altre?