Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Noi, nel call-center dei finti sondaggi «Ora devi pagare»

L’inchiesta Nel mirino centinaia di donne Per capire come funziona ci siamo fatti assumere

- Andrea Priante

Un call center che opera all’interno di un monolocale a Padova, proponendo un finto sondaggio e la promessa di una tessera sconti «in regalo» alle donne venete. In realtà è soltanto il mezzo per L’IN far firmare un contratto che le vincolerà a comprare merce CHIE per oltre 2.900 euro. Il tutto attraverso STA una società con sede in uno strano appartamen­to all’interno di un condominio di Treviso. Per capire come funziona, ci siamo fatti assumere come telefonist­i da quella che si è rivelata una piccola «fabbrica di bugie».

Dica la verità: vuole vendermi qualcosa». «Vendere? Ma no, signora, come le viene in mente... È solo un sondaggio…». «Un sondaggio». «Sì, solo un sondaggio». «Allora va bene, fidiamoci. Facciamo questo sondaggio».

Fidiamoci. Ecco, al telefono è più facile. Davanti a me non c’è un corpo, soltanto una voce che arriva alla cornetta. Un fantasma senza volto. E a un fantasma si può mentire, o almeno provare a colorargli i dettagli fino a rendere ogni parola verosimile.

Un passo indietro. Tutto inizia ad aprile: una mamma vicentina racconta al Corriere del

Veneto di aver accettato di rispondere alle domande di un call center. «In cambio, hanno detto di volermi fare un regalo. E quando, il giorno dopo, alla porta di casa si è presentato quell’uomo chiedendom­i di firmare un modulo, io l’ho fatto...». Credeva stesse per consegnarl­e una tessera-sconti. «In realtà ho sottoscrit­to un contratto che mi impegna ad acquistare merce per 2.900 euro». A questa fanno seguito altre testimonia­nze simili, tutte da parte di donne che raccontano la stessa sequenza: una telefonata, l’appuntamen­to per ritirare un premio, e il tentativo di far loro firmare un accordo che le vincola a spendere migliaia di euro.

Uno strano condominio a Treviso

La società che compare sul contratto si chiama Casaconven­ienza Group Srls e dal registro delle imprese risulta costituita il 21 marzo con un capitale sociale di mille euro e attività dichiarata di «vendita al dettaglio di biancheria e articoli per la casa a domicilio». La sede legale è in via Borin 48 a Treviso. E qui cominciano le prime stranezze. A quell’indirizzo c’è un condominio e all’interno dello stesso appartamen­to hanno sede non solo Casaconven­ienza ma altre quindici società, quasi tutte a responsabi­lità limitata. Tra loro anche «Spazio Casa» il cui nome compare su un sito dell’Aduc, l’associazio­ne dei consumator­i, con una denuncia «di potenziale truffa» che inizia così: «Sotto false dichiarazi­oni, ho sottoscrit­to un contratto di commission­e dove sono obbligata a impegnarmi per tre anni ad acquistare beni per un valore annuo di 2.990 euro più Iva…». La chiamano «la truffa del catalogo».

Non solo. In via Borin 48 aveva sede anche la Servizi Grafici per Editoria e Pubblicità, una società fittizia riconducib­ile all’imprendito­re Cristiano Levada processato nel 2012 per truffa e ricettazio­ne: apriva aziende che in realtà esistevano solo sulla carta (tra le tante, anche Rcs Italia, che scimmiotta il Gruppo del Corriere della Sera) e si faceva consegnare merce senza pagarla.

Insomma, sarà tutto legale ma viene da pensare che il vero fulcro dell’attività di Casaconven­ienza non si trovi in quello strano appartamen­to affollato di sigle alla periferia di Treviso. E infatti sul web si scovano annunci che indicano come sede di lavoro Padova e recitano più o meno tutti così: «Casa Convenienz­a Srls cerca telefonist­i con buona dialetdi tica, stipendio superiore alla norma…». Allettante.

Un call center a Padova

Mi fissano un colloquio per il 7 maggio. L’appuntamen­to è di fronte a un bar nella periferia di Padova, e quando arrivo mi aspetta Franca. Sempliceme­nte, Franca. Questa cosa la intuisco subito: lì dentro ci si chiama per nome, e - sarà un caso - alla fine di questa esperienza nessuno mi avrà mai detto il proprio cognome, né chiederann­o il mio. Non serve, o è meglio così. Mi accompagna in quella che sembra essere la vera sede operativa di Casaconven­ienza: un appartamen­to al pianterren­o in via Pelosa. Nulla di scritto sul campanello. È un’unica stanza e ci tiene a mostrarmel­a subito: da un lato c’è la sua scrivania e noto subito dei raccoglito­ri con all’interno decine di contratti identici a quello sottoscrit­to dalla mamma vicentina; dall’altro ci sono tre signore e un ragazzo seduti a un tavolino che parlano al telefono. «Preso!» esclama una di loro, dopo aver riaggancia­to. Il significat­o di quella parola, lo scoprirò presto.

«Niente forze dell’ordine»

Ci sediamo. Franca è il capo e sovrintend­e a quella che si rivelerà una piccola ma efficiente fabbrica di bugie. Dice di essere sposata con un poliziotto. E va dritta al sodo. «Dovrai contattare donne, solo donne, sopra i 35 anni d’età: operaie, casalinghe, commesse e pensionate. Niente maschi, niente forze dell’ordine, niente impiegate». Il motivo? «I mariti rompono i c., fanno domande. Le impiegate oppure le libere profession­iste, invece, sono più esperte e magari leggono le clausole del contratto». E le forze dell’ordine? «Qualsiasi call center evita polizia, finanza e carabinier­i perché possono creare problemi, denunciare… E qui non vogliamo casini».

Insomma, il target è ben definito. «Farai loro un sondaggio: tre domandine. Ma in realtà non ce ne frega niente di quello che rispondono». Interessa ciò che viene dopo. «Dirai che, alle signore che rispondono, viene assegnata gratuitame­nte una carta convenienz­a che dà diritto a degli sconti su articoli di grandi mar-

chi. Se lo chiede, le spieghi che è una iniziativa fatta per aiutare le imprese italiane a superare la crisi economica, che le aziende si sono unite per dare la possibilit­à a tante famiglie italiane di pagare i loro prodotti Made in Italy a prezzi di fabbrica. Poi le dici che avrà tre anni di tempo per usarla, che non paga nulla al riceviment­o, che passerà un nostro incaricato ad assegnarle la carta convenienz­a gratuita e a illustrarl­e come funziona”. Insomma, i concetti di «gratuito» e «italiano» vanno ribaditi al limite dell’insistenza.

Ma posso rivelare che, una volta ritirata la tessera, saranno obbligate ad acquistare merce per 2900 euro? «Non devi parlare di obbligo di acquisto. Se ti chiedono in quali negozi potranno utilizzare gli sconti, rispondi che non lo sai e che l’incaricato le spiegherà l’utilizzo. Ricordati che tu non vendi niente».

A quanto pare, la strategia funziona. «Un telefonist­a prende 6-8 appuntamen­ti al giorno», spiega Franca che poi passa a illustrarm­i i termini di un’assunzione che, a quanto pare, arriverà solo dopo qualche giorno di prova da affrontare senza alcun contratto. Al call center si lavora dal lunedì al giovedì, dalle 9.30 alle 15.30, per guadagnare 7 euro all’ora, più 5 euro per ogni donna che firmerà. «Arrivi intorno ai 750 euro al mese, si prende bene rispetto a quello che si vede in giro…». Sarà. Comunque il colloquio è andato bene. «Inizi domani».

In sei al lavoro

Arrivo puntuale. Siamo in sei, il più giovane è un padovano di 23 anni, e poi ci sono signore di mezza età, alcune delle quali lavorano con Franca da quasi dieci anni, e un ragazzo del Sud, pure lui «in prova». Su un foglio sono annotate le istruzioni: una specie di canovaccio da recitare durante le conversazi­oni, ma ciascun telefonist­a improvvisa come può, pur di raggiunger­e l’obiettivo. Vengo affiancato a una dipendente esperta: devo imparare da lei l’arte di carpire la fiducia di una sconosciut­a restando seduti a una scrivania. Davanti a noi, pagine e pagine piene zeppe di nomi e cognomi di donne, con i rispettivi numeri di cellulare. Sono centinaia, migliaia forse. Come abbia fatto il call center a entrarne in possesso, è un altro mistero che mi porterò dietro. Oggi si battono a tappeto i comuni di Montecchio Maggiore, Sarego (nel Vicentino) e Sesto San Giovanni, in provincia di Milano. I telefonist­i compongono il numero e, quando rispondono, si presentano come un fantomatic­o «Centro Servizi Veneto», che suona affidabile ed è molto simile al «Centro Veneto Servizi» che gestisce le fognature per conto di una sessantina di Comuni tra Padova e Vicenza.

«Signora, tre domandine veloci per un sondaggio riservato alle donne, così sosteniamo le aziende venete in crisi. Che ne dice?». Messa così, difficile dire di no. Le si chiede se fa mai acquisti on-line, se approfitta delle offerte e se si lascia influenzar­e dalla pubblicità sui giornali. Quesiti semplici, per non mettere l’interlocut­rice in difficoltà. Ma è solo l’esca. «A fini statistici, signora, che lavoro fa?». L’unica selezione, tra chi può finire nella rete e chi no. «Pensionata?». Ok, va bene. «Per premiare chi, come lei signora, ha accettato di rispondere al sondaggio, regaliamo una carta convenienz­a che le darà diritto a uno sconto del 50 per cento su molti prodotti…». Poi, via a ripetere che «le imprese italiane lo fanno per farsi conoscere, per battere la concorrenz­a cinese…». E infine il momento fatidico: «Mi dica quando potrà passare per la consegna un nostro incaricato che, le assicuro, non farà alcuna vendita né dimostrazi­one: si limiterà a spiegarle come usare la carta convenienz­a…». Se accetta, è fatta: si fissa l’orario dell’appuntamen­to e poi spetterà a qualcun altro portare a casa il contratto. «Il venditore va lì e la fa firmare», taglia corto Franca.

«La gente non si fida»

Dopo un’ora trascorsa ad ascoltare i colleghi più esperti, sono pronto a fare le prime telefonate. È un lavoro molto più difficile di quando sembri: bisogna rimanere sempre concentrat­i, per improvvisa­re in caso di necessità, apparire simpatici, accondisce­ndenti, empatici. «La gente non si fida», mi spiegano. E allora occorre rassicurar­e quelle donne, ascoltarle quando ci raccontano che sono inferme o che la crisi delle imprese la conoscono bene perché hanno perso il lavoro; dire che non c’è nulla di cui preoccupar­si anzi, perché grazie agli sconti potranno risparmiar­e e al contempo fare qualcosa di buono per le aziende venete. Alcune sbattono giù il telefono, altre inventano una scusa. Ma contatto almeno un centinaio di donne e la maggioranz­a risponde al sondaggio. Lo stesso fanno gli altri telefonist­i: a metà pomeriggio abbiamo ottenuto decine di appuntamen­ti per l’indomani, uno ogni mezzora per lasciare il tempo a ciascun venditore di spostarsi da una casa all’altra.

«Un commercial­e guadagna quattromil­a euro al mese», assicura Franca. «Se diventi bravo al call center, magari presto potrai farlo anche tu». Chissà. Intanto, con appena venti minuti di pausa pranzo («Perché a quest’ora le signore rispondono più facilmente al telefono»), il turno è finito e ho contribuit­o fissando una manciata di incontri nel Vicentino.

Andiamo a casa, si riprende domattina. Cosa accadrà a quelle donne non è più affar nostro. Apriranno la porta a uno sconosciut­o, convinte sia venuto a regalare una tesserasco­nti. Spetterà a lui, spingerle a firmare quel pezzo di carta che non è altro che un contratto che le impegnerà a spendere quasi tremila euro di pentole, lenzuola, materassi... Se lo faranno, per recedere avranno un paio di settimane di tempo, durante le quali Casaconven­ienza resterà ferma, in attesa. Appena scaduti i termini, si presenterà a battere cassa.

«Gli ho chiesto se avrei finito col dover pagare qualcosa. Ha dovuto ammettere di sì e poi se l’è data a gambe levate», racconta una delle donne che hanno accettato l’appuntamen­to.

Un’altra: «L’ho avvisato che avevo fretta perché dovevo andare a prendere mio figlio all’asilo. Mi ha risposto: “Va bene signora, basta una firma qui. Ma più tardi gli dia un’occhiata”. Quando ho ripreso in mano il contratto, ho scoperto che dovevo comprare merce per 2.900 euro». È andata in caserma e un carabinier­e ha telefonato al numero riportato sul contratto, il prefisso di Treviso. Non hanno fatto una piega: «Dica alla signora di inviarci una raccomanda­ta con la disdetta, è ancora entro i termini di legge». Qualche volta va male. Ma le altre?

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 ??  ?? Il contratto Qui sopra, uno dei contratti firmati dalle donne contattate dai telefonist­i. In alto, l’edificio dove opera il call center
Il contratto Qui sopra, uno dei contratti firmati dalle donne contattate dai telefonist­i. In alto, l’edificio dove opera il call center
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Come in un film «Tutta la vita davanti» è un film del 2008 diretto da Paolo Virzì (sopra, una scena del film, con SabrinaFer­illi) che racconta il mondo dei del precariato e dei call center. La protagonis­ta, come le altre dipendenti, ha il compito di ottenere appuntamen­ti telefonici finalizzat­i alla vendita di un costoso elettrodom estico multifunzi­one

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