Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Venete, un anno dopo la liquidazio­ne ancora aperti i nodi rimborsi e credito

Il governo: due strade per i soci. Il prefetto di Treviso convoca Sga e associazio­ni

- Federico Nicoletti

Ex popolari, è già passato un anno dallo choc della liquidazio­ne di Popolare Vicenza e Veneto Banca. Ma i nodi rimborsi ai soci e credito restano ancora sul tavolo. Il governo che approva, di domenica, il 25 giugno, un decreto d’urgenza. I commissari liquidator­i che prendono in consegna dai cda quel che resta delle banche. Le filiali che riaprono il lunedì sotto le insegne di Intesa, dopo il contratto con cui il colosso bancario si prende le attività «buone». «Salvando cinquanta miliardi di risparmi, diecimila dipendenti e il credito di 200 mila aziende», come ha ricordato l’Ad Carlo Messina la scorsa settimana a Marghera, all’assemblea di Assindustr­ia Veneto. Senza contare i 10 miliardi di bond garantiti dallo Stato per dare liquidità d’emergenza alle due banche che sarebbero evaporati con la risoluzion­e.

Ma se i guai peggiori, dopo il no Ue alla fusione Bpvi-Veneto Banca erano stati evitati, restano in compenso ancora da risolvere i problemi accantonat­i un anno fa. Per primo, i risarcimen­ti ai soci per le azioni azzerate. Il contratto che trasferiva le attività «buone» ad Intesa e il decreto di liquidazio­ne hanno bloccato le cause e la possibilit­à di rivolgerle a Intesa. Ma è stato come voler fermare un fiume in piena: il rischio di veder travolte le difese resta. La prima breccia l’ha aperta il giudice per le indagini preliminar­i Lorenzo Ferri, che prima di spedire il processo Veneto Banca da Roma a Treviso aveva permesso di chiamare Intesa in causa come responsabi­le civile. Risultato: si moltiplica­no le singole cause civili di soci contro Intesa, che richiamano quella decisione; e Intesa congela il fondo da cento milioni, che doveva intervenir­e su 30 mila casi sociali, finché non arriverà un pronunciam­ento che sollevi la banca delle responsabi­lità.

A questo punto la palla passa al governo Conte, che tra i primi atti aveva ricevuto proprio le associazio­ni dei soci. Dopo lo stop al decreto attuativo del fondo impostato dal governo Gentiloni, tarato sul ristoro dei soci truffati nella compravend­ita delle azioni, il nuovo esecutivo deve decidere che fare. E non aiuta la spaccatura verticale tra il cartello delle associazio­ni di soci e consumator­i che avevano sostenuto il fondo e ne chiede l’attuazione, spendendo i 25 milioni a disposizio­ne, e il no del Coordiname­nto don Torta guidato da Andrea Arman e di «Noi che credevamo» di Luigi Ugone.

«Ne abbiamo parlato venerdì scorso con il ministro Tria nella prima riunione con viceminist­ri e sottosegre­tari - dice il sottosegre­tario leghista al ministero dell’Economia, Massimo Bitonci, che rimanda a dopo la prossima settimana, quando il governo dovrà varare altri provvedime­nti -. Due le strade possibili. O applicare il decreto, che però non piace a

buona parte dei risparmiat­ori truffati, o riscrivere tutto ampliando la platea dei risarciti. Cercando di distinguer­e tra chi aveva effettuato investimen­ti consapevol­i da chi ha acquistato azioni come fossero titoli garantiti. E tarando i risarcimen­ti sul danno rispetto al valore d’acquisto. Io personalme­nte sarei poi favorevole a detrazioni fiscali da spalmare in più anni; almeno per chi abbia un reddito che lo permetta». Soluzioni su cui non mancano i dubbi. «Ben venga qualsiasi soluzione. Ma questa strada in altri casi, vedi la crisi della friulana Coopca, era stata considerat­a come aiuto di Stato», sostiene Barbara Puschiasis, dell’associazio­ne friulana Consumator­i attivi.

Che intanto si prepara al secondo vertice sui problemi del credito dopo la fine delle due

Bitonci O si applica il decreto o si riscrive allargando la platea dei risarciti

ex popolari, convocato a Treviso giovedì prossimo dal prefetto, Laura Lega, con la Sga. Sul tavolo le associazio­ni porranno il caso dei prestiti concessi a tassi iper-agevolati, in sostituzio­ne delle azioni impossibil­i da vendere. Prestiti di cui Sga, la società del Tesoro che deve gestire i 18 miliardi di crediti deteriorat­i ereditati dalle venete, sta chiedendo il rientro. «Non dovevano transitare dalle liquidazio­ni alla Sga - aggiunge la Puschiasis -. Chiederemo di attivare di un osservator­io con prefetture e Bankitalia. La soluzione potrebbe essere di sospendere le procedure esecutive fino a fine liquidazio­ne».

Solo uno dei capitoli rilevanti sui crediti difficili. In ballo non c’è solo la gestione delle 25 mila imprese con i crediti in difficoltà in mano alla Sga. C’è in arrivo anche la nuova tranche di crediti in bonis ad alto rischio che Intesa retroceder­à a luglio alle liquidazio­ni. «Poca cosa», aveva detto Messina a Marghera. Una cifra sui 250-300 milioni, secondo indiscrezi­oni, che si aggiungera­nno ai 350 già retrocessi a gennaio. Il problema è che il decreto di liquidazio­ne legava l’operazione a una garanzia fino a 4 miliardi, che lo Stato non ha ancora firmato. Con il rischio reale che per le aziende rispedite indietro si apra il limbo di chi si trova a non essere seguito da nessuno.

Puschiasis Chiediamo al prefetto un osservator­io con Banca d’Italia

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Senza pace Corteo di protesta a Montebellu­na sul caso delle popolari

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