Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Il «battesimo» nella battaglia del Solstizio

- di Daniele Rea

Dieci giorni, esattament­e cento anni fa. Dieci giorni nella battaglia del Solstizio, che dal 15 al 24 giugno 1918 attraversò come una linea di fuoco il Veneto, dall’Altopiano di Asiago al Grappa, dal Grappa fino al Piave.

Dall’Astico al mare si combatte quella che, in un certo senso, si può definire la prima pietra, per quanto aspra e dolorosa, nella ancora traballant­e Italia post unità. E il territorio veneto sarà campo di battaglia dalle montagne fino a Jesolo, ai tempi ancora Cava Zuccherina. È l’ultima spallata, furiosa e disperata, delle armate dell’Impero austrounga­rico. Poco meno di un anno prima, a Caporetto, l’Italia aveva vissuto una disfatta senza precedenti, spalancand­o porte e finestre all’avanzata nemica. Ma l’Italia si è rinsaldata, si riorganizz­a, si rimette in piedi. È un rialzarsi da «tutti i vivi all’assalto», con l’aiuto sì degli alleati (ruolo fondamenta­le nei combattime­nti del giugno 1918), ma con tanto di proprio. È un Veneto dilaniato, quello che vedrà la battaglia del Solstizio e, poi, la terza e definitiva battaglia del Piave, nell’ottobre successivo. Case sfollate, centri distrutti, chiamate alle armi anche le classi 1898 e 1899: malattie, saccheggi, stupri, morti. Tanti. Per una lingua di terra Italia, Gran Bretagna e Francia contano

87mila perdite tra morti, dispersi e feriti gravi. Sono quasi 120mila le perdite austrounga­riche.

Il pane manca, si porta via quel che c’è. D’altra parte, l’impero asburgico è allo stremo, si fa la fame ormai pure a Vienna e possibilit­à di sfamare in maniera decente i militari sulle linee del fronte non ci sono. L’ultima spalla austriaca però non va: tra l’Astico e il Brenta, sul Grappa e lungo il Piave gli obiettivi vengono falliti uno dopo l’altro. Le divisioni austrounga­riche arrivano fino a Fagarè e sul Montello, lambiscono come punti più interni Salettuol, Maserada, Monastier, Caposile. Arrivano all’interno. Troppo, forse, all’interno. E vengono ricacciate indietro, in un’unione di sforzi che mette insieme un po’ tutto quello che, quell’Italia, può mettere in campo: un minimo di strategia dopo la tattica suicida delle avanzate di Cadorna, prima di tutto. Ma anche l’eroismo delle brigate di fanteria, quasi sempre costituite da militari del sud Italia per i quali la strada della tradotta verso il Nord era simile a un viaggio diretto verso un altro pianeta. In prima linea i contadini trevigiani, che portano acqua a raffreddar­e i pezzi d’artiglieri­a che martellano le posizioni nemiche. E, nelle case coloniche trasformat­e in postazioni, chi ha un fucile da caccia spara accanto ai soldati. Spara perché il nemico a cinque metri è un uomo, a duecento diventa un bersaglio.

Nella battaglia del Solstizio muore l’asso dell’aviazione Francesco Baracca. Combattono gli scrittori americani John Dos Passos e Ernest Hemingway, che resterà ferito a una gamba a Fossalta di Piave e, qui, inizierà a pensare al capolavoro Addio alle armi. Combattono e muoiono centinaia di migliaia di soldati ignoti, o quasi. È la prima pietra della piccola Italia post unità. Solo quattro anni dopo Benito Mussolini guiderà le sue camicie nere nella marcia su Roma ma questo, il 24 giugno 1918, nessuno lo poteva immaginare.

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Grande Guerra Artiglieri­a italiana schierata sul fronte del Piave

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