Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
C’è un sindaco Pd che batte la Lega «Ma qui il partito deve cambiare»
SAN DONÀ ANDREA CERESER Il fortino del Veneto orientale: «Per il 2020 è già tardi, sbrighiamoci»
C’è un sindaco dem che batte la Lega. Andrea Cereser ha tenuto San Donà, una mosca bianca visti i risultati dei ballottaggi di domenica «Ma il partito va allargato e superato, deve avere una visione federalista. Sono un renziano? Nutro sincero affetto per Renzi e penso che stia pagando oltre misura ma ora meglio Gentiloni e Delrio.
C’è un’àncora nel Pd alla deriva delle politiche e delle amministrative. Incredibile a dirsi, è agganciata al fondale di una città tendenzialmente di centrodestra come San Donà di Piave che aveva due candidati sindaci di area tra i quali scegliere: Francesca Pilla (Lega, Fratelli d’Italia e tre civiche) e Oliviero Leo (Forza Italia e tre civiche). Tra i due litiganti, Andrea Cereser ha superato il primo turno con 43% e vinto il secondo col 54%.
Sindaco, lei è uno dei pochi del centrosinistra a vincere in Italia. Non si sente come l’ultimo dei Mohicani di una classe di amministratori che in qualche modo questo pezzo di veneto ha contribuito a cambiarlo?
«Mi sono ricandidato lo scorso luglio dicendo che sarebbe stato percorso di coinvolgimento dei cittadini al di là delle appartenenze politiche».
Sì ma lei è del Pd. E ha vinto il ballottaggio e quello del «dem» è il primo partito nella sua città.
«Se avessi avuto solo il Pd, avrei raggiunto il 20%. La mia vittoria significa che è stato compreso il messaggio legato alla persona e alla proposta: a livello locale faccio capire se la buca sulla strada sia un argomento di destra o di sinistra».
Come mai nella altre città il Pd ha perso? Neanche a Siena e a Pisa, ma neanche a Martellago li esistono buche di destra...
«La dimensione di San Donà ci consente ancora di entrare nelle case e far politica. In un capoluogo di provincia sarebbe difficile realizzare una presenza continua sul territorio. Ho creato un percorso di ascolto e fatto un patto con i cittadini, lasciate perdere vostri orientamenti politici: sicurezza, mobilità, sviluppo occupazione sono problemi comuni a tutti e la differenza la fa la capacità di pensare in maniera nuova. Senza voler insegnare niente a nessuno, forse è utile analizzare la vicenda di San Donà: ha contato la difficoltà del centrodestra ma ha premiato anche la serietà che mi è stata riconosciuta».
Dopo questa sconfitta, il segretario Pd Maurizio Martina ha detto: «Bisogna organizzare, attrezzare il centrosinistra, il Pd. Il tema non è la leadership, che pure è rilevante, ma il progetto». Carlo Calenda, invece: «Ripensare tutto: linguaggio, idee, persone, organizzazione. Andare oltre il Pd». In quale di queste affermazioni si riconosce?
«Mi prende la seconda: andare oltre il Pd. L’allargamento è essenziale, sopratutto in Veneto il modello di partito deve essere calato in questa realtà: quello che Massimo Cacciari chiamava federalismo del Pd. Una riflessione che però nel partito non c’è mai stata, come se il partito nazionale avesse considerato il Veneto una terra persa, nella quale valesse la pena impegnarsi».
Lei è un renziano e sull’ex segretario sta ricadendo anche la responsabilità della sconfitta amministrativa.
«Nutro un sincero affetto per Renzi e credo che stia pagando più delle sue colpe. L’arroganza in politica non è il più grave degli errori ma questa antipatia mette in ombra ciò che di buono ha fatto. Credo sia momento di chiedere aiuto a persone come Gentiloni o Delrio che per capacità di empatia possono apparire più in sintonia col paese».
L’eternizzazione di Berlusconi è un discorso aperto in Forza Italia: il perpetuarsi del capo sta pesando negativamente nelle urne e anche ieri l’altro Giovanni Toti è tornato sull’argomento del «dopo di lui». È un rischio anche nel Pd l’eternizzazione di Renzi, che c’è di fatto anche se non è più segretario?
«Spesso questa perpetuazione non è determinata dalla volontà del leader ma da chi i leader li segue. Non so dire cosa Renzi voglia fare da grande ma facendo un confronto col passato mi verrebbe da dire che ci vorrebbe un gruppo di persone che ha più a cuore le sorti del paese che quelle del partito o la propria. Come negli anni fecondi della Democrazia Cristiana».
A proposito: in Veneto, a chi si dovrebbe rivolgere il Pd in vista delle regionali del 2020?
«Oggi è già tardi, se l’obiettivo è il 2020. Intanto ci vuole un gruppo di persone in grado di elaborare una proposta politica che abbia la dignità di avere l’attenzione dei cittadini e degli imprenditori, che risponda ai bisogni. Non può essere affidata all’università: va costruita. Se poi in questo gruppo c’è l’Achille Variati di turno capace di far sintesi, può essere l’esito di un percorso».
In campagna elettorale lei ha invitato i gruppi social satirici per una serata di ragionamenti più scanzonati sulla politica e tra questi c’erano i Socialisti Gaudenti. Il cui primo tweet dopo lo spoglio è stato: «#senzadime voleva dire senza i sindaci?» Al netto della sua vittoria, ci si ritrova?
«Non mi aspetto niente da Roma. Dovrebbe ripartire un movimento come la Rete siciliana, dal basso, il che significa anche ripartire dai sindaci. Cosa sempre detta ma mai realizzata, nel partito. Basta vedere come sono state composte le liste alle ultime elezioni politiche».