Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

«La rottamazio­ne di Renzi ha favorito i populisti»

- Di Giovanni Viafora

«Il partito è un cadavere. La rottamazio­ne di Renzi ha solo spalancato le porte al populismo». Così il dem Paolo Giaretta.

Paolo Giaretta, già sindaco di Padova dal 1987 al 1993, quindi senatore prima del Partito Popolare, poi di Margherita e Ulivo, lei è stato anche, nel 2007, il primo segretario regionale del Partito Democratic­o. Le avessero fatto leggere all’epoca i giornali di oggi, in cui dopo l’ennesima batosta elettorale c’è chi si spinge a parlare di «fine del Pd», cosa avrebbe pensato?

«Me lo ricordo bene il 2007, guidavo in Veneto un partito in cui c’erano dentro i miei avversari politici di pochi anni prima. Capisce? Però era un partito che aveva grande generosità e che capiva che c’era qualcosa di più importante della propria storia: cioè la storia nuova, quella da fare. Ecco vedere la perdita di entusiasmo di oggi, questa rassegnazi­one, ebbene questo mi amareggia terribilme­nte. Il Pd mi sembra un cadavere».

Tutto finito, quindi?

«Le idee e i valori cui è nato prima l’Ulivo e poi il Pd sono ancora necessari alla democrazia italiana. Ma se non li rappresent­erà il Pd, lo farà qualcun altro. Abbiamo perso due capoluoghi di provincia e non ho sentito un solo commento da parte dei dirigenti del partito. Se non quello di Variati, che è una delle poche teste rimaste... Il Pd come comunità politica è stato distrutto prima che dagli elettori da una certa superficia­lità che ha caratteriz­zato la stagione dei successi».

Quel 40 percento delle Europee...

«È stata la morte di Renzi: lui da quel momento si è convinto che potesse fare tutto da solo. La sua grande colpa è stata quella di immaginare che la vecchia ditta fosse di inciampo, tanto da distrugger­la. Ma quella vecchia ditta rappresent­ava comunque una comunità, un luogo di elaborazio­ne culturale. E l’ha sostituita con il nulla. Non c’è stata una forma più moderna di partecipaz­ione. E gli effetti si sono visti».

La rottamazio­ne come punto di... rottura.

«La rottura è stata quando l’innovazion­e necessaria si è ridotta a mero rinnovamen­to generazion­ale, ad una rappresent­azione della società molto semplifica­ta, illudendos­i che un certo giovanilis­mo potesse bastare a governare una fase di profondo cambiament­o antropolog­ico. Ma la rottamazio­ne, quella parola che tanto piaceva, un po’ inumana se mi è concesso, ha solamente aperto la strada alle altre forme di populismo. Facile dire, per esempio, che i sindacati fossero vecchi: i lavoratori così se ne sono andati via, pensando che a loro ci avrebbe pensato la Lega o il M5s. Il punto è che tanti cittadini italiani si sono sentiti senza patria politica e hanno scelto il fai da tè: chi si è affidato ai Cinque Stelle, chi se ne è rimasto a casa, chi addirittur­a è stato felice di vedere sdoganato l’animo di una destra becera, securitari­a e sostanzial­mente razzista».

«Andare oltre al Pd», dice ora Prodi. E con lui l’ex ministro Calenda. Serve un soggetto nuovo?

«Servono idee nuove e personale politico nuovo. Ma il tema non può ridursi a fare un congresso per decidere chi dovrà comandare. È esattament­e l’idea per cui il Pd ha perso. I congressi servono a decidere le risposte, le parole d’ordine, le soluzioni da offrire ai cittadini. Con un punto ben chiaro: che non si possono annullare le differenze. Sarà che io vengo dalla vecchia scuola della Dc. E la Dc, che in Veneto dominava, non buttava via niente. Io che ero un giovane della sinistra dorotea, per esempio, non fui mai stato messo all’angolo»

Oggi invece?

«Quanti “amici” di Gentiloni sono finiti in parlamento? E Minniti? Si ricorda in quale razza di collegio è stato candidato l’ex ministro dell’Interno da Renzi? Siccome questa non è una caserma, né un’azienda se a chi non la pensa come te chiedi di stare zitto lui va via o non ti appoggia più. E per altro, con tutto il rispetto, avverto tutta l’insufficie­nza di questa dirigenza politica, anche in Veneto».

In che termini?

«Dopo la batosta alle Regionali non è cambiato nulla. Siamo stati un anno senza segretario. E ancora: salvo singole eccezioni, le pare che il gruppo parlamenta­re Pd del Veneto sia capace di fare qualcosa? Chi sono? Che cosa dicono alla società veneta? La mia generazion­e i posti se li conquistav­a con congressi durissimi, in partiti da 40mila iscritti a provincia. Oggi invece la gente viene premiata per la fedeltà. Per cui non basta una classe dirigente innocente, come ha detto ieri Cacciari, ma ci vuole competenza e rappresent­anza. Altrimenti perché la gente dovrebbe fidarsi di noi?».

Da dove ripartire?

«Oggi c’è chi, nel partito, fa riferiment­o al modello San Donà o al modello Padova. E mi cascano le braccia. Ma di cosa stiamo parlando? Se il modello è quello di Padova, dove il Pd ha perso il 20 percento, siamo messi bene. La realtà è che non c’è alcun modello. C’è il tornare alla vita reale, alle idee. C’è il coraggio culturale, che dev’essere la vera cifra. Il capire, come diceva Moro, l’intelligen­za degli avveniment­i».

” Coraggio culturale La vera cifra è quella, come diceva Moro, di capire l’intelligen­za degli avveniment­i

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