Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Si spacca la maggioranz­a il Veneto rinuncia all’inno

IL VOTO LO STATUTO IN AULA Lega a favore ma «fredda», no di forzisti e Fratelli d’Italia: affossato

- Marco Bonet

Peccato, perché c’erano già delle idee: «La Juditha Triumphas di Vivaldi», «No il Va Pensiero di Verdi», «E perché non la Canzone del Piave?», «Allora il Signore delle cime», «Bepi De Marzi ci scomunica tutti!», «Vabbè , che sia Marieta, monta in gondoa e non se ne parli più». E invece niente, per un voto soltanto (di un leghista!), il Veneto non avrà il suo inno. La proposta di Antonio Guadagnini, alfiere degli indipenden­tisti in consiglio regionale, ha spaccato la maggioranz­a ed è finita bocciata.

Prendendo esempio da altre Regioni dal forte sentimento autonomist­a, come la Sardegna col suo «Procurade ‘e moderare» e la Sicilia con «Matriterra», e inseguendo quella che pare essere diventata una moda un po’ in tutta Italia (le Marche si sono rivolte a Giovanni Allevi, la Lombardia a Mogol), Guadagnini aveva proposto a fine maggio di affiancare a bandiera, gonfalone, stemma e sigillo della Regione, pure un inno, da suonare durante eventi e commemoraz­ioni ufficiali. La mossa era stata fatta in commission­e Affari istituzion­ali, approfitta­ndo di un ritocco allo Statuto legato alla nuova legge elettorale, e aveva avuto successo grazie all’appoggio dalla Lega. Ma quando il testo è arrivato in aula, ieri, l’esito è stato assai diverso.

Guadagnini, prudenteme­nte, non aveva indicato testo e musiche, rimandando ad una legge successiva, ma un’idea ce l’aveva ed il brano era «Na bandiera, na lengoa, na storia», scritto dal compositor­e bassanese Luciano Brunelli, su arrangiame­nto della «Juditha Triumphas» di Vivaldi. Un’opera scelta non a caso: fu infatti scritta per celebrare la vittoria della Repubblica veneta a Corfù assediata dagli ottomani nel 1716. «Una proposta inaccettab­ile - ha tuonato Piero Ruzzante di Leu, preparando 37 emendament­i e l’elmetto per l’ostruzioni­smo - chiunque lo ascolti capisce subito che si tratta di un inno di partito, l’inno degli indipenden­tisti». Il pentastell­ato Simone Scarabel ha denunciato «l’arroganza di chi pretende di stabilire cosa piaccia ai veneti senza neppure passare per un referendum» mentre il dem Graziano Azzalin ha stilettato i leghisti: «Non durerà a lungo questo giochetto che vi vede indipenden­tisti qui e nazionalis­ti a Roma, chiedere i voti dell’imprendito­re veneto e e strizzare l’occhio al mafiosetto (sic) di Catania». Ma se gli strali della minoranza erano stati messi in conto, quel che ha sorpreso sono state le barricate alzate dalle altre componenti della maggioranz­a e cioè da Forza Italia e da Fratelli d’Italia. L’azzurro Massimo Giorgetti, dopo aver esordito con un sorriso («Potrei dire “Prima gli italiani”, rallegrand­omi di vedere lo slogan della mia vita politica diventare patrimonio di molti, anche insospetta­bili»), ha criticato il metodo: «Nel 2006 l’assessore De Bona propose di introdurre l’inno del migrante veneto. Fu approvato con legge ordinaria. Perché qui si vuole intervenir­e sullo statuto, mettendo a rischio l’accordo politico chiuso con la legge elettorale? Lo strumento è sbagliato». Ne ha fatto invece una questione di merito Sergio Berlato di Fratelli d’Italia: «Evitiamo di dare sponde a quanti sospettano che dietro l’autonomia ci siano separatism­i ed indipenden­tismi, non prestiamo il fianco con simili iniziative che generano ambiguità e rischiano di danneggiar­e la trattativa aperta con lo Stato».

Capita l’antifona, il capogruppo della Lega Nicola Finco, particolar­mente conciliant­e durante tutta la seduta, ha spiegato: «Nel testo iniziale l’inno non c’era, è vero, ma per quella che è la nostra storia, noi appoggiamo comunque la proposta di Guadagnini. Non la riteniamo in contrasto con l’inno di Mameli, a cui semmai si aggiunge, e non vuol creare alcuna contrappos­izione tra il Veneto e l’Italia». «Come sono cambiati i tempi!» sottolinea­vano ironici i dem, mentre Ruzzante evidenziav­a l’assenza politicame­nte rilevante del governator­e Luca Zaia. Intanto Finco proseguiva: «Da parte nostra nessun passo indietro ma non cerchiamo lo scontro e non vogliamo forzature, deciderà l’aula». E l’aula ha deciso che il Veneto può serenament­e continuare a cantare Fratelli d’Italia. A Guadagnini servivano 26 voti e ne ha avuti 25: hanno detto no Berlato e Barison, si è astenuto Giorgetti ma soprattutt­o si è astenuto, risultando decisivo, Fabiano Barbisan, strategica­mente piazzato da Zaia a presidiare il gruppo di opposizion­e-manon-troppo di Centro Destra Veneto ma in realtà saldamente leghista nel cuore e in aula. Perché si è astenuto? Sarà mica arrivata una furbesca indicazion­e in tal senso dalla Lega, per sminare il campo? «No assolutame­nte, è stata una scelta dettata da ragioni personali, pensavo che Guadagnini avesse comunque i numeri». Sarà. Quest’ultimo certo mastica amaro: «Andrà meglio quando in aula ci saranno più indipenden­tisti, mi spiace che qualcuno che pensavo stesse dalla nostra parte si sia ritirato all’ultimo». Ma non demorde: «Riproporrò subito l’inno con legge ordinaria e vedremo allora cosa succederà».

Barbisan Perché astenuto? Motivi personali... Pensavo avessero già i numeri

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Il consiglio Una seduta dell’assemblea di Palazzo Ferro Fini, che ieri ha discusso e bocciato l’inno del Veneto
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