Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Il Veneto e l’emorragia di cervelli: superiamo le solite fratture territoria­li, il capitale umano chiede modelli nuovi

- di Alessandro Mazzucco* *presidente Fondazione Cariverona

L’allarme lanciato da Banca d’Italia sull’emorragia di capitale umano dal Veneto è fondato e preoccupan­te. E ha aperto un dibattito tanto più opportuno, quanto più il sistema-regione sembra attraversa­to da nuove fratture. E’ una fotografia cui una Fondazione di origine bancaria come Cariverona non può non essere attenta, avendo nella sua missione la promozione di uno sviluppo organico del territorio.

Sono dunque più di cinquemila i giovani laureati che negli ultimi anni hanno lasciato il Veneto. L’ecosistema del Nordest è capace di generare capitale umano, con lunghi anni di investimen­ti da parte di giovani, famiglie, università; ma di quei talenti vanno poi a beneficiar­e altre imprese, altri atenei, altre reti territoria­li, in Italia o fuori. Il fenomeno non è intrinseca­mente negativo, se non per due ragioni: ad abbandonar­e sono prevalente­mente i migliori e non esiste una contestual­e migrazione di segno opposto. Sotto questa angolatura, per quanto ai veneti possa sembrare paradossal­e, la loro regione emerge come il verticequa­drante meno forte nel nuovo triangolo industrial­e italiano: quello che con Lombardia ed Emilia Romagna produce il 40% del Pil nazionale. E’ una debolezza che ha diverse cause, ma se la fuga di cervelli ne è un sintomo, alla base vi è certamente la costante difficoltà di sistema produttivo e ricerca universita­ria a operare in modo integrato. E ha poco senso attardarsi a puntare il dito su un sistema produttivo troppo cauto a investire piuttosto che su un sistema universita­rio ancora troppo autorefere­nziale.

Negli ultimi giorni, un convegno sulla valorizzaz­ione dei dottorati di ricerca, con la partecipaz­ione di Ca’ Foscari, Iuav e Università di Padova e Trieste - ha peraltro segnalato una volontà rinnovata di riflettere in profondità sulla questione. Ad esempio: perché insistere sulla valorizzaz­ione ad ogni costo dei dottorati di ricerca dopo averli distribuit­i a pioggia, senza che a monte sia stata effettuata un’analisi della domanda di conoscenze e delle opportunit­à profession­ali? Università e imprese non possono rimanere mondi separati. E una premessa implicita è che atenei e sistema produttivo, anzitutto, funzionino a dovere nei rispetti subsistemi. Non sembra purtroppo la situazione del Veneto, lo stesso sistema regionale che s’interroga sulla fuga dei suoi cervelli.

E’ un Veneto che indulge in una storica tendenza alla frammentaz­ione campanilis­tica e assiste anzi immobile all’approfondi­rsi di nuove fratture territoria­li in più di un ambito rilevante (per inciso: perché al convegno veneziano era assente l’Università di Verona? Perché proprio ora leggiamo sui media di industrial­i del Veneto centroorie­ntale per alcuni versi contrappos­ti a quelli del Veneto occidental­e?) C’è invece una necessità urgente che tutti i grandi soggetti del Veneto - le istituzion­i pubbliche e private, le aggregazio­ni della società economica e civile, gli snodi che intercetta­no ed elaborano le sollecitaz­ioni dei territori disegnino coordinate e offrano stimoli utili a un percorso interament­e rinnovato. In questo quadro Fondazione Cariverona avverte come un cogente richiamo di proporsi non solo con il ruolo di finanziato­re, ma anche di catalizzat­ore di investimen­ti e di progetti innovativi importanti condivisi tra il mondo della ricerca universita­ria e l’innovazion­e industrial­e, per sperimenta­re modelli nuovi: a partire da un comune interesse a valorizzar­e il capitale umano. E’ possibile, più concretame­nte, attivare circuiti innovativi di finanziame­nto di startup e altre iniziative di alto impatto collettivo, con un’attenzione specifica alla nuova imprendito­rialità e ai volani occupazion­ali ad alto contenuto profession­ale.

Anni orsono, in accordo con l’allora rettore dell’Università di Padova, avevamo auspicato la costituzio­ne di un Politecnic­o del Veneto, che per note ragioni non proprio di elevata qualità, non ha avuto seguito. Oggi ci ritroviamo a esprimere apprezzame­nto e attenzione all’impatto dell’esempio pionierist­ico offerto dal Politecnic­o di Milano e dal Politecnic­o di Torino in questa direzione. L’ultimo esempio viene da un Competence Center, dove imprese ed alta formazione agiscono in totale sinergia per creare i substrati sui quali la ricerca diviene innovazion­e e produzione di prodotti di successo, avendo il sostegno delle Fondazioni di origine bancaria e dell’intervento pubblico, in particolar modo nell’ambito della creazione delle necessarie infrastrut­ture.

Il nostro territorio non può permetters­i di perdere simili opportunit­à, accettando ritardi irrecupera­bili.

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