Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Il «Concerto» e l’enigma di Giorgione
Prestito a lungo termine alle Gallerie dell’Accademia: il quadro appartiene al nipote di Mattioli
Ècolto a bocca aperta, il naso camuso, la fronte aggrottata, il capo roteato inquadrato dal basso, e una mano poggiata su quello che sembra uno strumento a corda. La mimica del personaggio al centro del dipinto è naturale, da quelle labbra a forma di cuore sembra percepirsi l’emissione di un canto o un respiro. Trasmette tutto il suo essere il protagonista del Concerto (o Davide Cantore) del Giorgione e lascia nello spettatore molte domande aperte, così come le due figure grottesche ai lati. Come tutte le opere del maestro di Castelfranco, la cui vita è tuttora avvolta nel mistero, unica cosa certa l’anno di morte, il 1510, attestato in un documento da Taddeo Albano, il quale aggiunge che il pittore morì a 34 anni.
Una tela che cela tante storie: «Sono cresciuto - afferma Giacomo Rossi, proprietario dell’opera, ereditata dal nonno Gianni Mattioli, collezionista milanese, in particolare d’arte primo Novecento - col Concerto in salotto. Mi stupiva sempre lo sguardo del ”Davide”. C’è qualcosa di enigmatico nel quadro. Giorgione arriva dove noi non possiamo vedere, coglie il vero, l’universale».
Il dipinto, collocabile alla fase matura dell’artista, è giunto alle Gallerie dell’Accademia di Venezia in comodato quinquennale, consentendo una reunion con la famosissima Tempesta e la Vecchia. Tre capolavori giorgioneschi, un tempo tutti parte della collezione veneziana del patrizio Gabriele Vendramin, per un intrigante confronto visibile per un mese nella sala XXIII del museo, quindi la Vecchia sarà sottoposta a un restauro, mentre gli altri dipinti rimarranno esposti. «Un gesto - marca la direttrice delle Gallerie Paola Marini - di straordinaria generosità quello di Giacomo Rossi e di sua madre, la storica dell’arte Laura Mattioli».
L’accostamento dei tre masterpieces permette di cogliere diverse declinazioni dell’arte di Giorgione, con la Tempesta, volano d’innovazione verso la pittura di paesaggio, tra il ritratto del tempo della Vecchia e la nuova monumentalità della figura del Concerto. C’è un’affinità elettiva tra queste ultime due tele e un colpo di scena.
«Ho sempre ritenuto - rivela Laura Mattioli - che il protagonista del Concerto potesse essere l’autoritratto del Giorgione. Ho studiato la sua veste e ne ho trovate di analoghe nei quadri del Carpaccio, che così raffigurava gli ebrei. Sull’identità ebraica di Giorgione ci sono molti indizi. Comunque ricorda molto l’Autoritratto come David conservato all’Herzog Anton Ulrich Museum di Braunschweig». E guardando il suo volto vicino al ritratto della Vecchia, le somiglianze nei tratti fanno pensare al ritratto di sua madre. Non è l’unica sorpresa che cela il Concerto: radiografie effettuate sulla tela hanno evidenziato che sotto il dipinto ce n’è un altro, un paesaggio boscoso molto giorgionesco abitato da figure piccole con un ruscello in cui si specchia un soldato. Ecco la storia del quadro e la vicenda attributiva. Abbiamo citato Vendramin (1484-1552), raffinato uomo di cultura, committente di Giorgione e Tiziano. Nel 1667 l’opera è menzionata nella collezione lasciata in eredità dal pittore Nicolas Régnier.
Il riconoscimento della paternità giorgionesca si deve a Roberto Longhi, espressa anche in una lettera a Gianni Mattioli, che acquistò la tela nel 1948. Attribuzione poi ribadita da Carlo Volpe, Giulio Bora, Mauro Lucco, Alessandro Ballarin, Giorgio Fossaluzza. «Mio padre - spiega Laura Mattioli era criticato dagli amici per la sua casa piena di opere futuriste, così arredò una nuova abitazione con l’antico. Per l’acquisto del Giorgione ebbe un ruolo importante la sua cugina e prima donna a dirigere la Pinacoteca di Brera Fernanda Wittgens, con cui collaborò nell’organizzare la fuga in Svizzera di ebrei perseguitati durante la guerra». Ma questa è un’altra storia.