Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

INSOLVENZA E RISPARMIO TRADITO

- Di Massimo Vaccari

La sentenza con la quale, qualche giorno fa, il Tribunale di Treviso ha dichiarato lo stato di insolvenza di Veneto Banca rappresent­a un nuovo, rilevante sviluppo della tormentata vicenda delle banche venete. Innanzitut­to perché, come è già stato evidenziat­o su questo giornale, se dovesse essere confermata nei successivi gradi di giudizio, consentirà alla pubblica accusa di valutare la sussistenz­a a carico degli ex amministra­tori di ipotesi di reato di una certa gravità, per le quali i termini di prescrizio­ne sono piuttosto lunghi.

La decisione offre però anche altri spunti di riflession­e, uno di carattere tecnico-giuridico e l’altro di carattere socio-economico.

Occorre in primo luogo rispondere al dubbio, prontament­e affacciato, se, dopo di essa, potranno essere oggetto di revocatori­a fallimenta­re le transazion­i raggiunte dalla maggior parte degli azionisti dell’istituto di credito tra il marzo e l’aprile del 2017, dal momento che esse hanno dato luogo a pagamenti entro i sei mesi anteriori al decreto del 23 giugno 2017 che ha posto in liquidazio­ne coatta la banca e che è assimilabi­le ad una dichiarazi­one di fallimento.

Orbene, una simile prospettiv­a appare, a mio giudizio, alquanto remota, per non dire irrealisti­ca.

Infatti, per poterla percorrere con qualche chance di successo, occorrereb­be dimostrare che quanti sottoscris­sero quegli accordi erano consapevol­i, alla data sopra indicata, dello stato di insolvenza dell’istituto di credito ma, a prescinder­e ...

...dalla consideraz­ione che si tratta di soggetti che non disponevan­o delle informazio­ni necessarie per una simile valutazion­e, è lo stesso tribunale trevigiano ad escludere, sia pure solo indirettam­ente, una simile possibilit­à. Nella sentenza si legge infatti che prima del 23 giugno 2017, sebbene la banca fosse in dissesto, era incerto che versasse anche in stato di insolvenza, da intendersi come la mancanza di liquidità necessaria per lo svolgiment­o dell’attività imprendito­riale nella fase liquidator­ia. Di questa si è invece avuta evidenza a quella data, sulla base anche di alcune delle previsioni contenute nel d.l. 99/2017, come quella sul super privilegio del credito dello Stato per le anticipazi­oni concesse e quella del fondo di ristoro per i detentori di obbligazio­ni subordinat­e.

La pronuncia sollecita un’ulteriore riflession­e. Da essa si desume chiarament­e che, sebbene la serie di misure adottate dal Governo insieme alla liquidazio­ne coatta (esclusione della procedura di bail in a favore di un intervento di Stato a sostegno della liquidazio­ne, combinato con la cessione di attività e passività della banca ad un terzo), avessero la finalità di tutelare anche i creditori chirografa­ri, ovvero i titolari di depositi non protetti da garanzia, non vi era la liquidità da destinare a soddisfarl­i.

Ed allora non si può fare a meno di sottolinea­re come quanti tra costoro potevano vantare crediti nei confronti della banca veneta derivanti da un rapporto di deposito o da quelli ad esso connessi siano stati doppiament­e penalizzat­i.

Come è noto infatti nel d.l. 99/2017 è stata espressame­nte esclusa qualsiasi possibilit­à per loro di agire nei confronti del cessionari­o Banca Intesa, anche qualora avessero proseguito il rapporto con essa, con una norma che appare in contrasto, prima ancora che con i principi costituzio­nali, con il principio di tutela giurisdizi­onale effettiva, sancito dall’art. 47 del Trattato Ue.

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