Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
INSOLVENZA E RISPARMIO TRADITO
La sentenza con la quale, qualche giorno fa, il Tribunale di Treviso ha dichiarato lo stato di insolvenza di Veneto Banca rappresenta un nuovo, rilevante sviluppo della tormentata vicenda delle banche venete. Innanzitutto perché, come è già stato evidenziato su questo giornale, se dovesse essere confermata nei successivi gradi di giudizio, consentirà alla pubblica accusa di valutare la sussistenza a carico degli ex amministratori di ipotesi di reato di una certa gravità, per le quali i termini di prescrizione sono piuttosto lunghi.
La decisione offre però anche altri spunti di riflessione, uno di carattere tecnico-giuridico e l’altro di carattere socio-economico.
Occorre in primo luogo rispondere al dubbio, prontamente affacciato, se, dopo di essa, potranno essere oggetto di revocatoria fallimentare le transazioni raggiunte dalla maggior parte degli azionisti dell’istituto di credito tra il marzo e l’aprile del 2017, dal momento che esse hanno dato luogo a pagamenti entro i sei mesi anteriori al decreto del 23 giugno 2017 che ha posto in liquidazione coatta la banca e che è assimilabile ad una dichiarazione di fallimento.
Orbene, una simile prospettiva appare, a mio giudizio, alquanto remota, per non dire irrealistica.
Infatti, per poterla percorrere con qualche chance di successo, occorrerebbe dimostrare che quanti sottoscrissero quegli accordi erano consapevoli, alla data sopra indicata, dello stato di insolvenza dell’istituto di credito ma, a prescindere ...
...dalla considerazione che si tratta di soggetti che non disponevano delle informazioni necessarie per una simile valutazione, è lo stesso tribunale trevigiano ad escludere, sia pure solo indirettamente, una simile possibilità. Nella sentenza si legge infatti che prima del 23 giugno 2017, sebbene la banca fosse in dissesto, era incerto che versasse anche in stato di insolvenza, da intendersi come la mancanza di liquidità necessaria per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale nella fase liquidatoria. Di questa si è invece avuta evidenza a quella data, sulla base anche di alcune delle previsioni contenute nel d.l. 99/2017, come quella sul super privilegio del credito dello Stato per le anticipazioni concesse e quella del fondo di ristoro per i detentori di obbligazioni subordinate.
La pronuncia sollecita un’ulteriore riflessione. Da essa si desume chiaramente che, sebbene la serie di misure adottate dal Governo insieme alla liquidazione coatta (esclusione della procedura di bail in a favore di un intervento di Stato a sostegno della liquidazione, combinato con la cessione di attività e passività della banca ad un terzo), avessero la finalità di tutelare anche i creditori chirografari, ovvero i titolari di depositi non protetti da garanzia, non vi era la liquidità da destinare a soddisfarli.
Ed allora non si può fare a meno di sottolineare come quanti tra costoro potevano vantare crediti nei confronti della banca veneta derivanti da un rapporto di deposito o da quelli ad esso connessi siano stati doppiamente penalizzati.
Come è noto infatti nel d.l. 99/2017 è stata espressamente esclusa qualsiasi possibilità per loro di agire nei confronti del cessionario Banca Intesa, anche qualora avessero proseguito il rapporto con essa, con una norma che appare in contrasto, prima ancora che con i principi costituzionali, con il principio di tutela giurisdizionale effettiva, sancito dall’art. 47 del Trattato Ue.