Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Da bancario ad eremita tra i trulli la sua storia raccontata in un libro
Presentato a Verona «La vita che mi spetta», di Andrea Priante
del libro, ieri alla Feltrinelli di Verona, moderata dal direttore del Corriere del Veneto, Alessandro Russello, non mancava l’autore. «Durante la stesura del libro - ha raccontato Priante - Gabriele continuava a dirmi: “Tu non riesci a capire, me ne rendo conto dalle tue domande”. In effetti è difficile comprendere cosa significhi vivere di quello che si trova, saltare i pasti se non c’è cibo, fare chilometri a piedi per l’acqua. Gli ho chiesto, ad esempio, se gli mancava la figlia, ma è una quesito che appare assurdo a chi si trovava ad avere tanta fame che il cervello non riesce a pensare ad altro». Anche se «fuori dal mondo», in un uliveto abbandonato, Andriotto non ha mai perso la dignità. Nel piccolo capanno che fu il suo primo rifugio fece una pavimentazione rudimentale, costruì una doccia. «Volevo lasciare il posto meglio di come l’avevo trovato - ha spiegato Andriotto - nel caso tornasse il proprietario». L’impiegato, che riuscì a premeditare una fuga nel giro di una settimana (niente cellulari, niente contante, nulla che lo potesse «tracciare») riscoprì le tecniche scout imparate da ragazzo: essiccare i fichi per farli durare, occupare la giornata, «per non impazzire». Quando i carabinieri l’hanno trovato si stava avvicinando l’inverno. Sarebbe rimasto lì? «Avevo cominciato a pensarci - è la risposta di Andriotto - mi ero informato sulla temperatura, non temevo il freddo. Quanto alle provviste, avevo cominciato ad accantonare noci: quattro o cinque possono sostituire un pasto».
La domanda che incuriosisce di più il pubblico è quella più naturale: perché? «Per undici anni (dopo il crollo della borsa del 2001, ndr) ho tentato di ripianare i conti dei miei clienti, dovuti a investimenti sbagliati. Il che significava mentire, violare le regole. Quando se n’è accorta la banca ho sentito che stava crollando tutto». Rimane una lezione: quella della solitudine. «In un certo senso - è la conclusione di Andriotto - sono stato solo tutto la vita. Ma quei mesi in balia di me stesso mi hanno insegnato ad apprezzare di più le persone che mi sono state sempre accanto».
Una forma di catarsi Andriotto sentiva di dover «chiudere il cerchio» e ha accettato la proposta del cronista