Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
«Aiutiamoli a casa loro? Noi lo facciamo da 68 anni Funziona ma serve di più»
Due parole digitate su Google: «Salvini» e «aiutiamoli». Il motore di ricerca fa il resto da sé, e dà corpo a uno dei mantra del ministro dell’Interno: quell’ «aiutiamoli a casa loro», che il «Capitano» della Lega propone come secondo caposaldo della propria politica sui migranti. Quanto al primo, gli italiani lo toccano con mano dal 4 giugno: muro ai confini, perché «qui non c’è posto per tutti». A Padova, esiste e opera una realtà che della solidarietà alle popolazioni povere del mondo ha fatto la propria missione, fin dal 1950. Medici con l’Africa Cuamm, il Collegio universitario degli aspiranti medici missionari, ha coordinato le missioni almeno triennali di 1.615 tra medici, paramedici e tecnici. Interventi in 41 Paesi, non solo africani; 165 programmi realizzati, con Governo italiano, UE e varie agenzie internazionali; 221 ospedali. Questo è l’aiutiamoli a casa loro del Cuamm, oggi diretto da don Dante Carraro.
Don Carraro, cosa pensa dell’aiutiamoli a domicilio di Matteo Salvini?
«Se mi si dice “aiutiamoli a casa loro” dico: magari fosse vero. Noi l’abbiamo detto e fatto dal 1950. Da 68 anni, c’era ancora la Dc e la Lega neppure esisteva, abbiamo capito che il vero sostegno alle popolazioni povere passa attraverso investimenti lì dove quelle popolazioni vivono. Notare che non siamo noi a chiedere questo; sono gli africani che chiedono di essere aiutati nei propri confini. Penso al Sud Sudan e alla Repubblica Centrafricana. Scappano da fame, malattie, da un futuro che non c’è. Chiedono di essere aiutati a non fuggire, a crescere e progredire». Ha detto magari: dubita o ci crede fino in fondo?
«Ribadisco: facciamolo davvero. Sono un fortissimo sostenitore del fatto che la comunità internazionale debba fare investimenti in queste terre, perché è l’unica risposta vera a migrazioni, che, al 90% dei casi, è frutto di povertà. Ad Abidjan (Costa d’Avorio, ndr), alla fine dell’anno scorso, si sono incontrati i capi di governo dei 27 Paesi Ue e di 54 africani, con l’obiettivo di dare un aiuto all’Africa. Si sente parlare di Piano Marshall per l’Africa... Ecco, il budget stanziato per l’Africa sub sahariana, 40 miliardi, è un decimo di quanto speso dalla sola Germania per salvare le banche tedesche. L’Africa sub sahariana è grande...La cifra è inadeguata».
Si può davvero cambiare il corso economico di quei Paesi?
«Le cito il caso Uganda. Il Paese è politicamente stabile, negli ultimi anni ha investito in risorse umane, vedi medici. Ora ha 300 medici laureati all’anno e, dal punto di vista della salute di base, se dieci anni fa era assistito un parto ogni cinque, adesso lo sono quattro su cinque. La malnutrizione è calata e il Pil cresce del 5/6 per cento l’anno. Nel 2017 non c’è stato un ugandese che abbia attraversato il mediterraneo e, a vedere il registro dei richiedenti asilo, da quel Paese sono meno di 500...».
Rovescio della medaglia. Il ministro Salvini ha ribadito il proposito di azzerare gli sbarchi. Chiudere i confini: idea attuabile?
«Sono convinto di tutto quello che le ho detto, che, poi, è quel che abbiamo capito vivendo con le popolazioni africane. Semplificando, siamo medici, per noi vale il giuramento di Ippocrate. Le persone che corrono pericolo di salute e di vita si salvano, è vero sulle Dolomiti come nei mari. Ho un dovere etico e professionale che mi impone di aiutare, di salvare. Non sono politico e non voglio fare il politico. Questi sono i capisaldi del nostro lavoro: un dovere in senso sostanziale». (r.piv.)