Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
EUTANASIA DI VENEZIA ALLE URNE
Dopo la Regione del Veneto anche il Governo ha ritirato il ricorso contro il quinto referendum sulla separazione tra Venezia e Mestre, lasciando soli Comune e Città Metropolitana di Venezia a tenere la posizione. Neanche Ponzio Pilato sarebbe arrivato a tanto. Cercansi Istituzioni capaci di fare il loro mestiere di classe dirigente. Ma quante volte deve dire di no un «popolo» perché i suoi «rappresentanti» (in parte autonominatisi tali) capiscano il messaggio e vi si adeguino? I veneziani chiamati alle urne nel 1979, 1989,1994 e 2003 hanno bocciato la separazione nei primi tre casi e hanno addirittura snobbato l’ultimo appuntamento facendo mancare il quorum. Hanno detto di no sia quando la proposta di separazione sembrava venire dalla Terraferma, nel 1979 e 1989, sia quando il problema sembrava esser sentito soprattutto in laguna. Eppure rischiamo di dover ripetere per la quinta volta un rito nella migliore delle ipotesi inutile. Con istituzioni regionali e statali deboli, ormai incapaci persino di fornire un quadro della situazione e delle conseguenze sulla stessa che la separazione produrrebbe. Nessuno pare avere il coraggio di dire agli autocandidati al raddoppio dei sindaci, delle giunte, dei consigli (non proprio un fulgido esempio di riduzione dei costi della politica!) che i due comuni avrebbero ben poche risorse da distribuire, mentre di sicuro diverrebbe più difficile per entrambi guidare il proprio sviluppo.
Come non capire che Venezia Storica, lasciata a se stessa, «ricca» di 45.000 residenti dei quali probabilmente meno di 40.000 veneziani per jus soli, perderebbe anche le ultime possibilità di resistere alla sua definitiva trasformazione in parco a tema? Visitare il sito virginia.org/Williamsburg per rendersi conto di cosa significa la trasformazione di una città storica, nel caso la capitale coloniale della Virginia prima della nascita degli USA, in pura destinazione turistica. Cercansi comparse tra «veneziani» autentici, rassegnati «allo sfruttamento pitocco del genio dei padri e della curiosità dei foresti» (Papini, 1913). Sorte non migliore prevedibile per Mestre. Oggi orfana della Porto Marghera che l’ha fatta grande, spogliata dei servizi terziari superiori che da Venezia storica sono migrati, senza fermarsi in Terraferma, a Padova se non direttamente a Milano, e —lasciata sola — destinata a vivere poco più che di risulta del turismo che deborderà da Venezia. Destino segnato per due piccole comunità. Rovesciabile solo in una prospettiva comune ed estesa almeno fino a Padova. Prospettiva che renderebbe più utile l’impiego delle energie oggi sprecate nel dividere l’indivisibile. Ma che ha bisogno di classi dirigenti, non solo politiche, capaci del necessario coraggio.