Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
«Un’azione mirata Sospetti? Nessuno»
L’ex direttore: la famiglia non c’entra
«Un sorpasso azzardato in autostrada. Un editoriale non gradito da qualche mente instabile. Uno scambio di persona. Gli investigatori stanno scandagliando insieme a me ogni ipotesi e al momento solo una cosa è sicura: la mano che ha sparato è di quelle esperte, l’intimidazione ha tratti tipicamente mafiosi, da criminalità organizzata». Ario Gervasutti, giornalista del Gazzettino ed ex direttore del Giornale di Vicenza, è rientrato da pochi minuti nella sua casa di Chiesanuova, Padova. Accanto a lui c’è la moglie e attorno a loro è tutto un andirivieni di carabinieri alla ricerca del dettaglio in grado di dare una svolta alle indagini.
«Sono stato in caserma fino all’una del pomeriggio, è da stanotte che ci interroghiamo su ciò che è successo. Il risveglio di soprassalto nel cuore della notte, la paura, mio figlio che grida: ci hanno sparato in casa. Il foro di un proiettile sull’armadio. Non è stato un avvertimento qualunque: non mi hanno minacciato al telefono, non hanno lasciato un bidone pieno di benzina davanti al cancello, non hanno sparato alle auto in giardino. E sì che ne ho tre...».
L’arma è stata rivolta verso la casa.
«Mettendo in conto, o forse addirittura sperando, di colpire qualcuno perché sono stati esplosi cinque colpi e tre di questi hanno centrato la finestra mentre gli altri due si sono infranti contro il muro pochi centimetri al di sopra e al di sotto. Ora, magari chi ha sparato non sapeva che quella è la finestra della camera di mio figlio ma insomma, in una casa come la mia al piano di sopra o ci sono le camere o c’è lo studio, l’intenzione era quella».
Perché parla di una mano esperta?
«Hanno sparato in piena notte, sotto un diluvio universale, a venti metri di distanza , molto probabilmente spostandosi. Sfido qualunque neofita a mettere a segno tre colpi su cinque in queste condizioni. No, qui non parliamo dell’ubriaco che spara per aria a casaccio, ne sono convinti anche gli inquirenti».
Dal passato non riemerge nulla?
«Abbiamo buttato sul tavolo tutte le ricostruzioni possibili, comprese quelle che sconfinano nella nostra vita privata. Niente di niente».
Anche per quel che riguarda i suoi figli? Il caso di Niccolò Bettarini dimostra che i balordi, in contesti improbabili, sono capaci di tutto.
«Zero. E se conoscesse i miei ragazzi non avrebbe dubbi, il più grande deve dare domani (oggi, ndr) l’ultimo esame prima della laurea. Anche loro sono stati ascoltati dai carabinieri, come mia moglie. Tutte le ipotesi slegate dal lavoro sono escluse».
Non resta quindi che ripercorrere gli anni da giornalista.
«Anche qui, ogni ipotesi è stata sminuzzata e analizzata, dall’editoriale sulla rapina di Nanto, Stacchio e Zancan, al commento sulla cellula terroristica kosovara scoperta un anno fa a Venezia, fino ai pezzi che scrissi da direttore del
Giornale di Vicenza sul crack della Popolare, vicenda che potrebbe mandare in fibrillazione gli animi più esagitati».
E niente.
«Niente di niente. Anche perché da due anni, da quando cioè sono rientrato al Gazzettino, mi occupo più che altro della “macchina” del giornale, avrò scritto sì e no quattro o cinque pezzi. E si tratta di editoriali sulla politica o l’economia».
Mai occupato di mafia?
«Mai nella mia carriera».
E di criminalità organizzata?
«Quand’ero inviato, dieciquindici anni fa ma si trattava di vicende assolutamente routinarie, scritte insieme a molti altri colleghi, nulla di clamoroso».
Buio fitto.
«Io continuo a credere, a sperare, che si sia trattato di uno scambio d’indirizzo, che sia stata presa di mira casa mia al posto di un’altra di cui io, ovviamente, non so nulla. E comunque in ogni caso si è trattato di un errore di persona perché con me, queste minacce, non funzionano. La mia idea del mestiere di giornalista, che scrive pane al pane e vino al vino resta quella».
” Scambio di persona Mi auguro abbiano confuso gli indirizzi, di certo a sparare è stata una mano esperta