Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
IL CERCHIO MAGICO DEL VALORE
Da Bologna, a Padova, a Bolzano l’attrazione di aziende e talenti è il mantra, il veicolo su cui far correre la crescita economica e il progresso sociale. Ne è un esempio, il piano strategico della città metropolitana di Bologna che coniuga attrattività con sostenibilità e inclusività. Si punta ad attrarre investimenti industriali che rientrino nei circuiti virtuosi del «Made nel Nordest».
Ne beneficerebbe l’innovazione nei settori trainanti l’economia nordestina. Per rafforzare l’attrattività, riprendendo la tradizione medievale si tende a migliorare e accelerare la circolazione dei clerici vagantes, gli studenti girovaghi nello spazio europeo dell’istruzione superiore disegnato a Bologna nel 1999.
Sviluppi nella ricerca scientifica e nell’istruzione universitaria per favorire l’imprenditorialità che innova profondamente il tessuto industriale sono poi attesi dalle diverse alleanze europee, e non solo, imbastite dagli atenei nordestini.
In questo cerchio magico del valore si nota un punto debole. Le iniziative per l’attrattività industriale non sono accompagnate da progetti per la fondazione nei nostri territori di campus universitari aperti da atenei stranieri. Non è questa una mancanza di poco conto giacché la presenza di campus internazionali richiama dall’estero imprese e laboratori industriali di ricerca.
Secondo alcune stime, si conterebbero nel mondo circa 233 di questi campus, con un crescita media annua vicina al 6%. Strategie di internazionalizzazione e visibilità in quanto «istituzioni internazionali con ambizioni globali» paiono essere i due motori principali che muovono le università fuori dai loro confini geografici e culturali. Le città emergenti nel ruolo di crocevia della mobilità di persone, beni, servizi e capitali sono preferite dalle università intenzionate ad agire con filiali all’estero. Il Knowledge Village di Dubai conta vari campus internazionali realizzati da atenei europei, americani e asiatici. In occasione dell’Expo 2020 nella metropoli degli Emirati Arabi, si vedrà quanto sia virtuosa la danza della coppia dell’attrattività formata da investimenti produttivi ed educativi.
C’è da squarciare il velo dell’ipocrisia per comprendere l’assenza di pensieri ancor prima che di progetti rivolti ai campus internazionali. È il modello statalista di governo delle università italiane con l’ingombrante burocrazia che impedisce di familiarizzare con gli investimenti esteri nel campo dell’istruzione. Si erge dunque alta la barriera che una volta abbattuta permetterebbe ai nostri atenei di partecipare pienamente al gioco della coopetizione con le filiali internazionali delle università di altri Paesi. Nella coopetizione, concorrenza e cooperazione sono mescolate tra loro in vari modi; convivono tra i giocatori comportamenti cooperativi e competitivi con opportunità a vantaggio di tutti. Si è in concorrenza quando si tratta di reclutare docenti e ricercatori, e iscrivere studenti. Si è pronti a collaborare quando è in ballo l’allargamento dello spazio per l’alta istruzione. In definitiva, attrarre insieme imprese e istituzioni accademiche è un colpetto che riesce a spostare i grandi massi del localismo. Per dirla con Esopo, non è il forte vento gelido del Nord, quello della concorrenza, a rimuovere il mantello della conservazione, ma la forza suadente dei raggi solari della coopetizione.