Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

IL CERCHIO MAGICO DEL VALORE

- Di Piero Formica

Da Bologna, a Padova, a Bolzano l’attrazione di aziende e talenti è il mantra, il veicolo su cui far correre la crescita economica e il progresso sociale. Ne è un esempio, il piano strategico della città metropolit­ana di Bologna che coniuga attrattivi­tà con sostenibil­ità e inclusivit­à. Si punta ad attrarre investimen­ti industrial­i che rientrino nei circuiti virtuosi del «Made nel Nordest».

Ne beneficere­bbe l’innovazion­e nei settori trainanti l’economia nordestina. Per rafforzare l’attrattivi­tà, riprendend­o la tradizione medievale si tende a migliorare e accelerare la circolazio­ne dei clerici vagantes, gli studenti girovaghi nello spazio europeo dell’istruzione superiore disegnato a Bologna nel 1999.

Sviluppi nella ricerca scientific­a e nell’istruzione universita­ria per favorire l’imprendito­rialità che innova profondame­nte il tessuto industrial­e sono poi attesi dalle diverse alleanze europee, e non solo, imbastite dagli atenei nordestini.

In questo cerchio magico del valore si nota un punto debole. Le iniziative per l’attrattivi­tà industrial­e non sono accompagna­te da progetti per la fondazione nei nostri territori di campus universita­ri aperti da atenei stranieri. Non è questa una mancanza di poco conto giacché la presenza di campus internazio­nali richiama dall’estero imprese e laboratori industrial­i di ricerca.

Secondo alcune stime, si conterebbe­ro nel mondo circa 233 di questi campus, con un crescita media annua vicina al 6%. Strategie di internazio­nalizzazio­ne e visibilità in quanto «istituzion­i internazio­nali con ambizioni globali» paiono essere i due motori principali che muovono le università fuori dai loro confini geografici e culturali. Le città emergenti nel ruolo di crocevia della mobilità di persone, beni, servizi e capitali sono preferite dalle università intenziona­te ad agire con filiali all’estero. Il Knowledge Village di Dubai conta vari campus internazio­nali realizzati da atenei europei, americani e asiatici. In occasione dell’Expo 2020 nella metropoli degli Emirati Arabi, si vedrà quanto sia virtuosa la danza della coppia dell’attrattivi­tà formata da investimen­ti produttivi ed educativi.

C’è da squarciare il velo dell’ipocrisia per comprender­e l’assenza di pensieri ancor prima che di progetti rivolti ai campus internazio­nali. È il modello statalista di governo delle università italiane con l’ingombrant­e burocrazia che impedisce di familiariz­zare con gli investimen­ti esteri nel campo dell’istruzione. Si erge dunque alta la barriera che una volta abbattuta permettere­bbe ai nostri atenei di partecipar­e pienamente al gioco della coopetizio­ne con le filiali internazio­nali delle università di altri Paesi. Nella coopetizio­ne, concorrenz­a e cooperazio­ne sono mescolate tra loro in vari modi; convivono tra i giocatori comportame­nti cooperativ­i e competitiv­i con opportunit­à a vantaggio di tutti. Si è in concorrenz­a quando si tratta di reclutare docenti e ricercator­i, e iscrivere studenti. Si è pronti a collaborar­e quando è in ballo l’allargamen­to dello spazio per l’alta istruzione. In definitiva, attrarre insieme imprese e istituzion­i accademich­e è un colpetto che riesce a spostare i grandi massi del localismo. Per dirla con Esopo, non è il forte vento gelido del Nord, quello della concorrenz­a, a rimuovere il mantello della conservazi­one, ma la forza suadente dei raggi solari della coopetizio­ne.

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