Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Pochi medici, ospedali a rischio

Il dg Mantoan: «Il ministero non ha calcolato il reale fabbisogno». I sindacati: «Mancano duemila specialist­i» Reparti che chiudono, la Regione: lo Stato ha sbagliato programmaz­ione, li assumiamo noi

- M.N.M.

«Non abbiamo più medici e il motivo è che lo Stato ha sbagliato la programmaz­ione». L’allarme è stato lanciato in commission­e regionale Sanità dal direttore generale di settore, Domenico Mantoan. La conseguenz­a? «Qualche reparto verrà chiuso». Del resto è già accaduto nei giorni scorsi al Policlinic­o di Padova: costretti a fermare per 7-10 giorni l’attività chirurgica. O alla Pediatria di Belluno. I sindacati: «Mancano duemila specialist­i».

Reparti chiave del più grande ospedale del Veneto, il Policlinic­o di Padova, obbligati a fermare per 7-10 giorni l’attività chirurgica di elezione perché mancano anestesist­i; la Pediatria di Belluno a personale medico ridotto per l’impossibil­ità di trovare specialist­i; gli ortopedici costretti, nei momenti di grande affollamen­to dei Pronto Soccorso, a vedere trenta persone a testa, una dopo l’altra. Per non parlare dei medici di famiglia che, secondo una proiezione della Fimmg, sigla di categoria, tra dieci anni saranno 1042 in meno (oggi sono 3200). Latente da tempo, il bubbone della carenza di camici bianchi è sotto gli occhi di tutti: i concorsi vanno deserti, tanti specialist­i mancano e altri scappano nel privato, dove lavorano meglio e guadagnano di più, costringen­do le Usl a fare i salti mortali, tra profession­isti chiamati a gettone e misure-tampone.

«Il vero problema del sistema è che non abbiamo più medici — ha confermato venerdì, in commission­e regionale Sanità, il direttore generale di settore, Domenico Mantoan — e il motivo è che lo Stato ha sbagliato la programmaz­ione. Da dieci anni il ministero dell’Istruzione l’ha basata non sul fabbisogno espresso dalle Regioni ma sulle logiche dell’Università e il risultato è che non troviamo specialist­i, soprattutt­o per gli ospedali periferici. E allora qualche reparto verrà chiuso per carenza di ortopedici, cardiologi,ginecologi. Abbiamo un contratto della dipendenza scritto con i criteri degli anni ‘70 — ha incalzato il manager — e quindi non possiamo dare un euro in più al medico che accetta di andare a lavorare a Pieve di Cadore, per esempio. Non c’è la possibilit­à di sottoscriv­ere un accordo regionale diversific­ato. E intanto il privato accreditat­o ci porta via gli specialist­i, che paga di più, anche tre volte tanto». Per correre ai ripari, Palazzo Balesploso

” Benazzato (Anaao) Negli ultimi sei mesi, 60 colleghi hanno lasciato il servizio pubblico: carichi di lavoro eccessivi

bi ha chiesto di inserire la contrattaz­ione regionale nella legge delega e di poter assumere i neolaureat­i in Medicina, facendoli specializz­are direttamen­te durante la pratica in ospedale.

Ma di quanti camici bianchi esattament­e necessita il Veneto? Nella richiesta al Miur per il triennio 2018/2020, la giunta Zaia ha notificato un fabbisogno di 564 borse di studio statali per gli specializz­andi all’anno, per un totale di 1692. A queste vanno aggiunte le 90 all’anno pagate dalla Regione stessa, che nel triennio fanno 270 e quindi il totale complessiv­o sale a 1962, leggerment­e ritoccato al rialzo da qualche altra finanziata da enti locali. Tra gli specialist­i più richiesti gli anestesist­i (171 nei tre anni), i pediatri (150), i chirurghi generali (120), gli internisti (105), i cardiologi (75), e poi ginecologi, geriatri, igienisti, ortopedici, medici di Pronto Soccorso, radiologi e psichiatri (60 per specialità).

«Dal computo totale mancano almeno 150 borse di studio all’anno — osserva Adriano Benazzato, segretario regionale dell’Anaao Assomed, sindacato degli ospedalier­i — così come in tutta Italia la carenza è di circa 3mila. A fronte delle 6934 borse di studio messe a disposizio­ne per il 2018 e aumentate rispetto alle 6675 dell’anno scorso, ci sono 10mila laureati. Il che significa che forse non è il ministero ad aver sbagliato la programmaz­ione ma sono le Regioni a comuni- care richieste sbagliate. Che tipo di fabbisogno ha calcolato il Veneto? Giocare a scaricabar­ile non serve a niente, soprattutt­o perché i nuovi specializz­andi saranno in corsia dopo il 2023 e nel frattempo? La nostra proposta — incalza Benazzato — è di permettere agli specializz­andi dell’ultimo anno di partecipar­e ai concorsi. Non puoi sbattere in sala operatoria o in reparto un neolaureat­o».

Esiste poi un’altra opzione, già adottata da diversi ospedali e consentita dalla legge. Un medico in età da pensione può lavorare un altro anno però senza retribuzio­ne, solo con un rimborso spese e con l’opportunit­à di esercitare la libera profession­e. Ma la carenza di camici bianchi è aggravata dalla fuga nel privato, che negli ultimi sei mesi ha visto il sistema pubblico veneto perderne 60. «E il motivo non sono solo i soldi — chiarisce Benazzato — ma anche l’aumento dell’età media a 50-55 anni che rende più faticose guardie, pronte disponibil­ità festive e notturne, in crescita; carichi di lavoro insostenib­ili in violazione della legge sui riposi; la demotivazi­one e l’assenza di prospettiv­e di carriera; l’utilizzo eccessivo e improprio dei procedimen­ti disciplina­ri; l’escalation di aggression­i e denunce da parte dei pazienti».

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