Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Con Scaroni torna il Milan «alla Vicentina»
Da ieri il vicentino Paolo Scaroni è il nuovo presidente del Milan. Prima di lui, ci fu Giussy Farina: «Gli auguro il meglio, a me andò male», ricorda.
I veneti che «prendono» il Milan, mica una storia qualunque. Neppure nuova, soprattutto. Paolo Scaroni da ieri è il presidente del club rossonero, transitato sotto il controllo del fondo Elliott. Il Consiglio di Amministrazione della società ha deciso di affidare la conduzione al banchiere, manager e dirigente d’azienda nato a Vicenza settantadue anni fa. E, del Vicenza, Scaroni è stato, allo stesso modo, presidente, tra il 1997 e il 1999, con la proprietà che fu in capo a due gruppi investitori inglesi, la Enic e la Stellican (difficile dimenticarsi del rappresentante di quest’ultima, Stephen Julius, l’uomo che dichiarava di non capire nulla di calcio ma tutto di bilanci). Fu, quello, il Vicenza che galoppò in Europa fino a raggiungere la semifinale di Coppa delle Coppe persa col Chelsea. Scaroni ha occupato poltrone di prestigio, con le cariche di amministratore delegato ricoperte in Enel ed Eni. Ora, dunque, il Milan: la chiusura di un cerchio che parte da lontano. Era un mercoledì di dicembre del 1985 e attorno a San Siro si scatenò la guerriglia. I belgi del Waregem avevano eliminato il Milan negli ottavi di Coppa Uefa, ma più ancora della delusione sportiva a far inferocire i tifosi era la gestione di Giussy Farina. Baffo folto, stile ruspante, sorriso a molla, nato a Gambellara, nel Vicentino, e, del Vicenza più epico, patron intuitivo. Si parla della squadra di Paolo Rossi – e di Cerilli, Filippi, Carrera, Marangon, Lelj, Prestanti e via andare –, il Lanerossi che fu secondo in A e stupì l’Italia: il Real Vicenza, appunto. Farina ne era il seduttivo presidente, con l’espressione alla Burt Reynolds, elegante e «ganassa» insieme. Rese grande il «Lane» e poi ci andò a fondo, fregato dal gioco cinico delle comproprietà: offrì uno sproposito per Rossi, già divenuto Pablito nel tango mondiale d’Argentina ’78, convinto che la Juve avrebbe messo in busta una cifra superiore. Invece Rossi restò a Vicenza ma i conti andarono in pezzi, come pure i risultati, con la retrocessione in B che anticipò l’addio di Farina. Che, al contrario di Julius, di calcio ne capiva, e ancor di più per il pallone andava matto. Insano amore e calcolata pazzia, fu così che nel 1982 rilevò il Milan, che stava retrocedendo in B: «Conoscevo la dirigenza, mi chiesero di subentrare – ricorda Farina –, e mi convinsi e rilevare la società, per quanto non fossi un mecenate. Avevo amici che mi diedero una mano, come Gianni Nardi, milanista che aveva delle attività a Vicenza, e per me fu importante averlo al fianco». Quattro anni alla scrivana in via Turati, per Farina, che ci tiene a rammentare le cose belle legate a quei tempi: «Tanti campioni del Milan che fu erano cresciuti con me. Baresi e Tassotti, e poi Maldini, che esordì, neanche maggiorenne, durante la mia presidenza. Tornati in A, riconquistammo una qualificazione europea e vincemmo il derby con l’Inter dopo anni». L’epilogo, per Farina, fu doloroso: «Il Milan me l’hanno soffiato. Chi? Silvio Berlusconi. Io avevo pagato per comprare il club, lui, nel 1986, se lo prese senza darmi nulla. Portò i libri i tribunale: è vero che i bilanci erano in disordine, ma era così per tutte le società di calcio, e mi sa che è qualcosa che non è cambiato neppure al giorno d’oggi. A Scaroni auguro le migliori fortune».
D’altronde, di presidenti veneti, il Milan, ne ha avuti altri: i padovani Luigi e Franco Carraro, padre e figlio, con il secondo che prese il posto del babbo, stroncato da un infarto durante un assemblea dei soci, nel 1967. E forse non è un caso che il bassanese Renzo Rosso, che ha salvato il Vicenza dalla sparizione, del Milan sia un grande tifoso. Unendo tutti i punti, il racconto si completa da sé.