Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
NORDEST, LA ROTTURA DEL PATTO
Italia, luglio 2018: nell’eclissi totale che ha oscurato gli sconfitti politici delle elezioni di marzo – Pd e Forza Italia – l’unica voce di opposizione al governo gialloverde è quella di Confindustria, quanto meno nelle sue articolazioni territoriali. C’è del paradosso in tutto questo: in condizioni «normali», per sua stessa natura l’associazione degli industriali rappresenta generalmente quanto di più filogovernativo si possa incontrare nel variegato panorama delle organizzazioni di rappresentanza. Ma queste, evidentemente, non sono condizioni «normali», se un presidente come Massimo Finco (Assindustria Venetocentro), schietto e diretto come pochi altri, arriva ad arringare così i colleghi imprenditori: «Di Maio che ne sa? Non ha mai lavorato. Ma è alla Lega del nostro territorio che ci rivolgiamo: di fronte al giro di vite sul mercato del lavoro, non può continuare a fare finta di niente o a protestare sottovoce in cambio di un barcone di immigrati fermato».
Si era mai visto, nel paludato mondo confindustriale, un esponente di prima fila tirare uno schiaffo del genere ai potenti di turno? Non è un caso, sia chiaro, che questa controffensiva parta proprio dal Veneto, dove anche gli imprenditori organizzati esprimono da tempo un’anima più movimentista e a volte contestataria rispetto ai colleghi di altre aree del Paese, al punto da arrivare – è il caso della manifestazione voluta dall’allora Unindustria Treviso – a marciare compatti in strada contro l’oppressione fiscale e burocratica del sistema.
Demolendo il pacchetto di provvedimenti contenuti nel cosiddetto Decreto Dignità, Il grillo parlante Finco – dove grillo potrebbe essere scritto anche con la G maiuscola, visto l’argomento di cui si tratta – ha squarciato il velo su un paio di questioni per nulla secondarie. La prima e più evidente: se queste sono le politiche del lavoro approntate dal governo, rischia fortemente di andare in frantumi il patto sociale tra la Lega e un pezzo rilevante del suo storico elettorato nordestino. Perché a nessuno sfugge il fatto che, di quei seicento imprenditori radunati martedì da Assindustria Venetocentro tra Padova e Treviso per analizzare il Decreto Dignità, una netta maggioranza ha simpatie politiche (e vota) per il centrodestra. Cioè per la Lega, a maggior ragione in una terra come il Veneto dove l’altra componente principale della coalizione, Forza Italia, è stata abbondantemente ridotta a socio di minoranza. La seconda questione rimanda alle conclusioni (amare) cui era arrivato proprio un esponente di spicco dell’imprenditoria nordestina, quel Massimo Colomban, già fondatore di Permasteelisa, che ha avuto modo di conoscere dall’interno il Movimento 5 Stelle, avendo prima collaborato con Gianroberto Casaleggio e poi fatto parte per un anno dell’amministrazione comunale di Roma a guida Raggi: se parliamo di imprese – era stata la constatazione di Colomban – gli amici pentastellati fanno una grande fatica a comprendere le ragioni della comunità dei produttori, poiché vengono da un altro mondo. Dei marziani, avrebbe detto uno come Finco: «Di Maio che ne sa? Nessuno l’ha mai assunto».