Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
«La Tav costa troppo, inadatta per il Nordest»
Miller, l’esperto di Confindustria: «Un treno vale sessanta Tir»
«La Tav costa troppo. VENEZIA E a Nordest ci sono merci ricche e inadatte al treno». Marco Ponti, docente al Politecnico di Milano da poco in pensione, è uno dei super-consulenti chiamati dal ministro Dario Toninelli per l’ormai famosa analisi costi-benefici che riguarderà anche la Tav veneta. Nel dibattito sull’alta Velocità ci spiega le ragioni del no.
Franco Miller
Lungo l’asse padano, da Venezia a Milano, stiamo facendo i conti con un’infrastruttura che data 150 anni. Occorre un’infrastruttura nuova, moderna, al servizio di un trasporto di merci e passeggeri più veloce ed efficiente
Quando c’è necessità VENEZIA di ascoltare la voce delle imprese, si finisce spesso per interpellare lui. Franco Miller, imprenditore veronese dell’elettronica, è l’uomo che da anni, prima come responsabile di Confindustria poi come presidente del comitato Transpadana, segue da vicino le defatiganti vicende dell’alta velocità in Veneto.
Miller, ora che la Tav viene messa in discussione, torna di prepotenza il problema dei costi eccessivi. Il professor Ponti ricorda che farla in Francia costa un terzo che da noi.
«Ma non sono situazioni paragonabili. Lì ci sono aree geografiche enormi senza insediamenti umani e produttivi, e senza ostacoli morfologici sul terreno. Non costa meno perché sono più bravi di noi: dal punto di vista delle capacità tecniche e progettuali, non abbiamo nulla da imparare. Anzi».
Il governo dice: l’analisi costi-benefici sarà decisiva per confermare l’opera o stopparla.
«Dipende cosa intendiamo. E anche su quale arco temporale. Anche l’autostrada del Sole è costata tantissimo, ma ha trasformato l’italia ed ha avuto un ruolo importante nel boom economico del secondo Dopoguerra».
L’argomento in voga è: potenziare la linea esistente come possibile alternativa efficace e low cost.
«Forse qualcuno dimentica che lungo l’asse padano, da Venezia a Milano, stiamo facendo i conti con un’infrastruttura che data 150 anni. Il tracciato è quello che è, in un territorio fortemente antropizzato dove è difficile operare ritocchi efficaci. Occorre un’opera nuova, moderna, al servizio di un trasporto di merci e passeggeri più veloce ed efficiente».
Ma davvero il sistema delle imprese ha bisogno della rete Tav?
«L’asse padano da Venezia a Torino esprime il 70% del Pil italiano. Siamo appena usciti da una crisi economica lunga e brutale e la rete industriale del Nordest ha un estremo bisogno di superare il gap di efficienza con cui deve fare i conti per esportare i propri prodotti: secondo il Cipe dall’ al 12% di costi in più rispetto ai Paesi europei competitori. E bisogna cogliere nuove opportunità: ha sentito parlare della “nuova Via della seta”, ovvero del grande collegamento ferroviario dall’asia che potrebbe finalmente far concorrenza al trasporto marittimo? Parliamo della possibilità di spedire merci dalla Cina in otto-nove giorni invece che in 28-30».
Il traffico merci su ferro è in calo. Il dubbio è che l’alta capacità serva poco a un sistema di Pmi manifatturiere che troveranno sempre, per ragioni intrinseche del sistema di trasporto, buoni motivi per farsi servire dai Tir.
«Certo, non tutti i settori produttivi saranno interessati. ma è riduttivo pensare che tutto si giochi intorno al made in Italy ad alto valore aggiunto e prodotto “leggero”. C’è un Veneto che ha un ruolo importante nella realizzazione di prodotti “pesanti” e che non vedrebbe l’ora di poter rivolgersi a un’alternativa su ferro. Ricordiamoci che la nostra autostrada, intendo l’asse dell’a4, esprime il più alto volume di traffico d’italia. Siamo vicini alla saturazione. Ed è per questo che le imprese si preoccupano di un’eventuale azzeramento della Tav. Ricordo che un treno merci lungo 750 metri è in grado di trasportare duemila tonnellate, ovvero il corrispettivo di sessanta Tir».
Quindi?
«Dobbiamo ragionare in termini di sviluppo, anche a lungo e lunghissimo termine. Se costruiamo una linea che supera quella attuale di metà dell’ottocento, dobbiamo farlo pensando non al prossimo decennio, ma ai prossimi cento o centocinquant’anni. Guardiamo, per fare un esempio limitato a un singolo settore, a quanto è cresciuto negli ultimi vent’anni il turismo dalle nostre parti. E quanto sia proporzionalmente lievitata la domanda di mobilità, anche sui binari, da questo tipo di utenza».
Se il governo decide lo stop, ci sarà innanzitutto da affrontare l’azzeramento del contratto appena firmato con Cepav 2 per la tratta BresciaVerona.
«Lì le cose sono molto avanzate: il general contractor sta per partire con i cantieri, il primo lotto vale da solo 1,65 miliardi, con il secondo lotto saremmo a 2,3 miliardi. Fermare tutto avrebbe un costo notevole per la collettività, anche se in questo momento non esattamente quantificabile. Ma soprattutto sarebbe un disastro strategico. A meno che non vogliamo davvero - ma non voglio crederci - aderire al pensiero della presunta decrescita felice ».