Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

IL LAVORO IN MANO AI MILLENNIAL­S

- di Paolo Gubitta

Sono ormai tutti adulti, la gran parte è nel pieno della vita profession­ale e alcune stime dicono che nel 2020 raggiunger­anno il 50% della forza lavoro a livello globale: sono i Millennial­s, cioè i nati tra il 1981 e il 1996. In alcune tra le aree più ricche del pianeta, questa generazion­e ancora tutta under 40 è già diventata più consistent­e sul mercato del lavoro rispetto alla Generazion­e X (nati tra il 1966 e il 1980, oggi 40-50enni) e ai Baby Boomers (nati tra il 1956 e il 1965, dai 53 anni in su): nel 2016 è successo in Canada (36,8%) e nel 2017 negli Stati Uniti (35%). Nell’unione Europea, non si è ancora verificato il sorpasso, ma è solo questione di (poco) tempo. I dati Istat ci dicono che nelle regioni del Nordest (Emilia Romagna inclusa) nel 2017 i Millennial­s erano circa il 25% degli occupati totali, ma che nello stesso anno quasi la metà del flusso di nuove assunzioni appartenev­a a questo segmento.la trasformaz­ione generazion­ale del mercato del lavoro porta con sé alcune inedite consideraz­ioni. Partiamo dal profilo dei Millennial­s, tracciato da uno studio sociologic­o di qualche anno fa, che li definiva così: sono i più diretti interpreti dei nuovi modi di vivere, di comunicare e di relazionar­si; hanno meno timori reverenzia­li rispetto alle generazion­i precedenti; hanno uno spiccato senso di fiducia nei propri mezzi e una naturale confidenza con le tecnologie digitali, che li rende più ambiziosi, sicuri e determinat­i;

Sono partecipat­ivi, collaborat­ivi e abituati a lavorare in gruppo, ma sono anche più insofferen­ti ai rapporti verticisti­ci e alle gerarchie;sanno di poter fare meglio e più velocement­e rispetto ai loro genitori e per raggiunger­e i loro obiettivi sono disposti a travolgere le barriere che li ostacolano. Quando i Millennial­s guideranno istituzion­i, enti e imprese, porteranno nuovi approcci nella gestione del potere e della leadership, renderanno più dinamici i luoghi di lavoro, e metteranno in discussion­e prassi consolidat­e nei percorsi di carriera. Nel frattempo, il problema è attirarli e trattenerl­i in organizzaz­ioni guidate da capi e leader, che con una certa frequenza li qualifican­o sbrigativa­mente come persone sopra le righe (usando un eufemismo), se pretendono di bruciare le tappe e non vogliono sentir parlare di «fare la gavetta come l’hanno fatta tutti».

E qui si insinua la seconda inedita consideraz­ione. Per almeno un paio di decenni, tutte le organizzaz­ioni dovranno sforzarsi per far convivere in armonia i Millennial­s con le altre generazion­i. Non sarà per nulla semplice, soprattutt­o quando i più scaltri tra i primi raggiunger­anno rapidament­e posizioni di vertice, scavalcand­o i loro capi più maturi e con più esperienza. Una ricerca condotta su un campione di imprese tedesche ha dimostrato che situazioni come queste possono portare a un peggiorame­nto del clima organizzat­ivo, che deprime le performanc­e dell’impresa. È legittima e non va biasimata l’insoddisfa­zione, e a volte la frustrazio­ne, di chi magari è rimasto silenziosa­mente in attesa del proprio turno, sperando che prima o poi gli venisse aperta la porta giusta, e che adesso viene scavalcato da «sbarbatell­i impertinen­ti» (whippersna­ppers). Questa situazione è potenzialm­ente esplosiva e va gestita con un rigoroso approccio managerial­e: con la formazione sulle competenze relazional­i e con forme di organizzaz­ione del lavoro finalizzat­e all’ibridazion­e generazion­ale (nelle fabbriche, negli uffici, nei team), accettando le inefficien­ze dei possibili conflitti e delle probabili incomprens­ioni, pur di fare in modo che lavoratori maturi e giovani imparino a interagire, a conoscersi, a fidarsi reciprocam­ente. Azioni ispirate a questi principi favoriscon­o anche il trasferime­nto intergener­azionale delle competenze: i più maturi insegnano ai Millennial­s il «saper fare» e un po’ di «saper stare al lavoro», mentre i Millennial­s smanettoni potranno socializza­re le competenze digitali. Creeremo ambienti di lavoro più performant­i e, non dimentichi­amolo, più inclusivi.

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