Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Il pusher è filorusso, no al reimpatrio

La corte di Cassazione nega il trasferime­nto in Ucraina: «Il carcere là è disumano»

- Polese

Maxim Diuligher non deve tornare in Ucraina. Lo ha deciso la corte di Cassazione sulla base dei rapporti di Amnesty Internatio­nal che definiscon­o inumane le condizioni carcerarie del Paese. Diuligher era stato arrestato a Padova nel 2015 con l’accusa di spaccio e il tribunale patavino aveva dato il permesso per l’estradizio­ne. Diuligher però è filorusso e, in Ucraina, rischiereb­be la tortura quindi, per il momento, resterà al Due Palazzi.

Condizioni carcerarie che violano i diritti umani, rischio di persecuzio­ni e lavori forzati. Questo rischiereb­be Maxim Diuligher se tornasse in Ucraina a scontare la pena per traffico di droga, per la quale è stato arrestato nel 2015 a Padova dalla polizia.

Dopo anni di scontro giudiziari­o innescato dall’avvocato difensore dello straniero, l’ultima parola l’ha detta la Corte di Cassazione: Diuligher non può tornare in patria. Il conflitto del Donbass, che vede contrappos­te milizie filo-russe e ribelli ucraini ha fatto delle carceri ucraine un inferno per i filo-russi, schieramen­to cui Diuligher, ora detenuto a Padova, dice di appartener­e. È la seconda volta che la Cassazione si esprime sul caso del trafficant­e ucraino. Entrambe le volte ha rispedito le carte alla corte d’appello di Venezia, ora chiamata nuovamente a valutare l’istruttori­a sullo stato detentivo dei carcerati filorussi in Ucraina. Diuligher, 35 anni, era stato arrestato alla Guizza dalle volanti della polizia. Il suo nome e il suo volto erano tra quelli dei massimi ricercati su mandato di arresto europeo per spaccio di droga, reato di cui lo accusa la polizia ucraina. Stando alle indagini l’uomo era stato denunciato ancora nel 2013, ma era fuggito dal suo paese. Aveva trovato rifugio a casa di amici nella prima periferia di Padova. Credeva forse che il suo volto sarebbe stato dimenticat­o ma il destino è tornato a riprenders­elo. È finito in carcere a Padova, ma il suo avvocato Vittorio Manfio ha mosso le montagne per non farlo ripartire. Il legale si è opposto all’estradizio­ne facendo opposizion­e in Appello. I giudici lagunari hanno valutato tutte le eccezioni, ma alla fine hanno deciso che il 35enne potesse ripartire, era il 2016.

Immediatam­ente parte il ricorso ai giudici delle leggi, la Cassazione, ai quali vene dimostrato come la corte di Appello non abbia attentamen­te

Amnesty

La Cassazione ha respinto l’estradizio­ne in base ai rapporti di Amnesty Internatio­nal

valutato le condizioni carcerarie nel paese d’origine, soprattutt­o tenendo conto che nel frattempo in Ucraina si è scatenato un conflitto sanguinari­o. Allo stesso modo la corte d’appello, sottolinea sempre l’avvocato, non avrebbe considerat­o nemmeno le relazioni di Amnesty Internatio­nal e Human Right Watch in merito alle continue violazioni dei diritti umani nelle carceri ucraine. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso e ha rimandato gli atti all’appello, il quale, dopo un’istruttori­a con le autorità locali, ha di nuovo stabilito che Diuligher può essere estradato. Nuovo ricorso in Cassazione, nuovo stop: i giudici della Suprema corte hanno stabilito che i colleghi lagunari avrebbero fatto sì l’istruttori­a, ma che non avrebbero valutato il contenuto della documentaz­ione che accerta come i detenuti, soprattutt­o come quelli filo russi, siano obbligati ai lavori forzati e a condizioni degradanti. Quindi le carte tornano di nuovo indietro, ancora una volta l’appello sarà chiamato a esprimersi sul fatto, aggiornand­o il grado di conoscenza sul conflitto e sulla possibilit­à che il detenuto, a fronte di idee politiche contrappos­te, possa subire torture e persecuzio­ni. Il traffico di droga è severament­e punito in tutti i paesi dell’ex blocco sovietico, che applicano pene che superano i dieci anni.

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