Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Il Partito democratico dopo Genova
Il Pd, in particolare, è giunto alla fine della sua storia: un ciclo che si chiude. I marchi – anche in politica – hanno una loro reputazione. Magari inspiegabile. E così come inspiegabilmente (talvolta) hanno un successo travolgente e inimmaginabile, così, in un batter d’occhio, al di là di qualsiasi ragione, e merito, e demerito, possono perderla. Al punto che riproporli così come sono rischia di essere controproducente, un’operazione in perdita. E’ probabilmente il caso del marchio Partito Democratico. Ormai irrimediabilmente compromesso, almeno per il grande pubblico. Con un appeal limitato. Insieme a molti altri del passato, identificati col passato. E si può solo prenderne atto. Non ha più senso nemmeno rivendicare la bontà delle scelte fatte, o difendere un’eredità, nei suoi aspetti positivi. Semplicemente, il marchio – così com’è – non è più in grado di incontrare un pubblico significativo, tale da poter diventare in futuro dominante, o almeno incisivo: non è più nelle sue corde. Nato con l’aspirazione maggioritaria di interpretare il paese, oggi, così com’è, non può pensare di rappresentarne che una minoranza, neanche molto significativa, e in calo tendenziale. Non è nemmeno più questione leader: chiunque sia il prossimo segretario, a vendere lo stesso prodotto, o un prodotto un po’ diverso con la medesima etichetta, non cambierebbe nulla. E’ il brand che è segnato. Siamo in uno di quei momenti storici in cui delle cose finiscono, inevitabilmente e inesorabilmente. Come finiscono degli amori, qualche volta: senza ragione apparente. Come finisce il fascino di un