Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Bagnoli, amianto nell’hub che ospita i profughi
Costruita con materiali cancerogeni, la base non appartiene più all’aeronautica militare. Per questo i lavori di rimozione sono fermi Materiale potenzialmente pericoloso per la salute. Ma continua a ospitare 200 migranti
Bagnoli, ancora un’emergenza. Prima le proteste, poi le rivolte e poi ancora le inchieste hanno alzato il velo sulla gestione dell’accoglienza migranti. E ora si scopre che l’ex base è stata costruita in gran parte con cemento amianto, materiale nocivo per la salute che andrebbe rimosso al più presto. Gli interventi però sono bloccati perché la base non appartiene più all’aeronautica militare, che ha previsto un massiccio intervento di sostituzione e bonifica nei suoi siti in tutta Italia, ma alla prefettura. E per ora i lavori sono fermi.
Oggi la base padovana è al centro di una bufera giudiziaria penale che vede il prefetto vicario Pasquale Aversa indagato insieme ai vertici della cooperativa per frode, truffa e rivelazione del segreto d’ufficio, e di un braccio di ferro davanti al Tar in cui si contrappongono la pluri-indagata Edeco e la coop di Trapani Badia Grande che dovrebbe subentrarle. In mezzo a tutto questo, l’amianto resta lì.
A rischio la salute non solo dei profughi e dei lavoratori che al momento si trovano nella base, ma anche di tutti quelli che in questi anni hanno transitato di lì. L’amianto non crea problemi se rimane integro ma se si rompe o si frantuma le particelle tossiche si depositano nei polmoni e cicatrizzano, provocando tumori inestirpabili.
Un dato è certo. Dopo il business illegale sull’accoglienza giocata sulla pelle dei migranti, si abbatte ora su di loro una nuova emergenza che la burocrazia non aiuta a risolvere. L’aeronautica militare aveva investito 110mila euro per rimuovere coperture e pareti di materiale tossico con cui l’area era stata costruita negli anni Sessanta. Per la forza armata l’«esigenza è annullata per intervenuta dismissione del sito». In realtà il sito non è dismesso, in questi anni migliaia di persone sono passate di lì. E così, mentre nelle altre basi del Veneto i lavori sono iniziati, Bagnoli rimane nel limbo dei territori in cui non è possibile garantire sicurezza e salute.
Dal 2014 l’aeronautica ha speso milioni di euro per togliere coperture e pareti di amianto nelle varie basi militari sparse in tutto il territorio nazionale. Le inchieste penali che vedono Padova come procura capofila nell’individuazione dei vertici militari che potevano intervenire e non lo hanno fatto, e i lavori della commissione parlamentare d’inchiesta, hanno indotto i piani alti della Difesa ad adottare una massiccia mole di interventi.
Molto è stato fatto a Padova, Istrana, Chioggia, Villafranca Veronese. Ma a Bagnoli no. «Da anni si parla di amianto in quella zona – dice il sindaco Roberto Milan – ma non ho mai saputo niente dei lavori».
Su questa «inerzia» dello Stato sono intervenuti anche i sindacati che hanno più volte indicato i siti dell’accoglienza come territori a «sovranità limitata».
Secondo Franco Maisto, della Cisl Fp di Padova, «tra le due basi di San Siro e Conetta sono transitate alcune migliaia di persone. Da oltre un anno sono emerse criticità sulla sicurezza segnalate alle prefetture di Venezia e Padova. Parliamo di due isole che danno il senso della extraterritorialità. Devono chiudere, non c’è alternativa».
Ad oggi a Bagnoli sono ospitate meno di duecento persone che, come più volte hanno segnalato dalle coop che aderiscono a Confcooperative, potrebbero essere spostate nell’accoglienza diffusa nel territorio, azzerando così il business della grande accoglienza e mettendo al sicuro la loro salute.
La gestione
Il centro di accoglienza di Bagnoli è gestito dalla cooperativa Edeco