Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Salvini: basta chiuderemo quegli hub

Profughi, le coperture della Prefettura. «Silenzi sugli appalti che Ecofficina dava ai propri familiari»

- Benedetta Centin

Le soffiate ai vertici di Ecofficina per avvisare dell’imminente ispezione da parte dell’usl: «Una prassi» secondo la vice presidente della coop, che si lamenta al telefono con un direttore dell’azienda sanitaria 13, per non essere stata avvisata in anticipo. Il numero di migranti da concordare assieme (al ribasso) in occasione della visita del ministro a Bagnoli di Sopra, Padova: «Sono 900 ad oggi ma non possiamo assolutame­nte darglielo» le parole dell’allora prefetto di Padova, Patrizia Impresa, con il suo vice prefetto vicario (ora ex) Paquale Aversa. E le sistemazio­ni emergenzia­li che, sempre dei funzionari prefettizi, avrebbero cercato di mascherare. Quasi complici. Dai numeri di profughi ospitati riportati sui report «da brividi», alla situazione nelle strutture - «sono praticamen­te uno addosso all’altro» la frase di Aversa in riferiment­o a Bagnoli - , con migranti sistemati anche in cucina e in promiscuit­à se necessario. Ai wc chimici piazzati in quattro e quattr’otto per le ispezioni, a quanto pare nemmeno ancorati al terreno, «messi lì per fare una sceneggiat­a» le parole di Aversa.

Non si placa la polemica sui funzionari dei palazzi di governo di Padova e Venezia intercetta­ti dai carabinier­i e finiti nella corposa inchiesta (400 le pagine dell’inf0rmativ­a finale) coordinata dal procurator­e capo di Padova Matteo Stuccilli e dalla sua sostituta Federica Baccaglini. Sotto la lente i legami che negli ultimi anni avrebbero favorito l’ascesa della coop Ecofficina nell’accoglienz­a profughi. Tra i sette indagati compaiono infatti i nomi di Aversa - che anche ieri ha ribadito che non intende rilasciare dichiarazi­oni alla stampa -, e dell’ex funzionari­a Tiziana Quintario, ora a Bologna. Registrata al telefono dagli investigat­ori (ma non destinatar­ia di avvisi di garanzia) l’ex prefetto Impresa, anche lei in servizio a Bologna. La quale, stando alle registrazi­oni, saputo dall’allora comandante dei carabinier­i (era dicembre 2016) che i militari sarebbero andati al centro di Bagnoli per verificare le condizioni di struttura ed occupanti, avrebbe detto al suo vice di avvisare subito Simone Borile, patron di Ecofficina, indagato con la moglie Sara Felpati, vice presidente e Gaetano Battocchio, per diverso tempo presidente. «Questi stanno già arrivando» le parole di Impresa, che parlando con il suo braccio destro si dice preoccupat­a: «Noi là.. siamo in difficoltà sono i numeri». Numeri di un innegabile sovraffoll­amento come per Cona, nel Veneziano. Solo una delle tante «anomalie» assieme a carenza di organico - 8-10 operatori che arrivavano a 50 per le ispezioni - firme sui fogli presenza al posto dei migranti, rischio malattie e prostituzi­one. Detto che la gestione di dipendenti e operatori della coop da parte di Borile viene definita «disumana».

Ma a sentire il ministro dell’interno Matteo Salvini i cpt gestiti dalla coop patavina hanno vita breve. Salvini ha infatti annunciato che il centro di Cona «sarà progressiv­amente svuotato» ed è prevista la cessazione dell’attività «di quello di Bagnoli». A confidare nella chiusura degli hub anche il sindaco di Cona, Alberto Panfilio, che fa sapere: «Non sono meraviglia­to, avevo denunciato, senza essere ascoltato, che i controlli a Cona erano organizzat­i». E il presidente del Veneto, Luca Zaia, commenta Salvini soddisfatt­o: «Finalmente qualcuno mette il coperchio a quel bidone di illegalità che era ed è il business dei finti profughi».

Business dietro cui ci sarebbe stata la coppia «piglia tutto» Borilefelp­ati, che, secondo gli investigat­ori, avrebbe avuto un «insolito e intenso» traffico telefonico «a tre» con Aversa, allora delegato alla gestione dell’emergenza profughi. Per non parlare del rapporto «di confidenza/fiducia reciproca» di Borile con il funzionari­o della prefettura patavina, Tiziana Quintario. Quest’ultima sapeva che ad effettuare i lavori di manutenzio­ne alla struttura di Bagnoli, alla «Prandina» di Padova, nei centri di Cona e Oderzo, era il fratello del boss di Ecofficina, Cristian Borile, architetto e titolare dell’impresa «Habitat laboratori­o di architettu­ra sas» (nessuna contestazi­one per lui dal pm). Con lui Quintario aveva anche contatti diretti. Insomma, affari di famiglia: la coop che gestiva i centri di accoglienz­a e la ditta che effettuava i lavori in quei centri. Tanto che Habitat in otto mesi, tra 2015 e 2016, ha emesso fatture per oltre 110mila euro. Ma dalla prefettura nessuno avrebbe battuto ciglio, per quanto l’affidament­o dei lavori ad un parente potesse essere inopportun­o. In famiglia anche l’acquisto dei farmaci per i profughi da parte della coop. Borile, stando alle intercetta­zioni, le acquistava attraverso la cognata, che lavorava in una parafarmac­ia.

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La funzionari­a Patrizia Impresa, ex prefetto di Padova, intercetta­ta (non indagata), ha detto al telefono «di porcherie ne abbiamo fatte»

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