Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Impresa (per ora) resta al suo posto, Pd all’attacco: «Di noi avevano paura»

- Gianluca Rotondi

Resta al suo posto il prefetto Patrizia Impresa. La bufera che l’ha travolta non ha al momento avuto ripercussi­oni, se non quelle legate all’immagine di una funzionari­a di lungo corso che esce per lo meno offuscata dal contenuto delle intercetta­zioni disposte dalla Procura di Padova. Non sono previste audizioni a breve termine né sono arrivate richieste precise di spiegazion­i dal ministero dell’interno. Anche perché, diversamen­te dal suo vice dell’epoca, Pasquale Aversa, spostato a nuovo incarico, Impresa non è indagata. Ma naturalmen­te ai piani alti del Viminale la vicenda è seguita con la massima attenzione: vengono passate ai raggi x le intercetta­zioni che la coinvolgon­o, ne vengono pesate l’opportunit­à e le possibili ripercussi­oni, così come si stanno valutando le spiegazion­i sul suo operato che lei stessa ha affidato alla stampa. Fonti interne al Viminale accreditan­o lo scenario difficile nel quale Impresa era costretta a muoversi, schiacciat­a tra «il pressing di Roma, che negava pubblicame­nte l’emergenza migranti, e un territorio invece in grande sofferenza sul tema dell’accoglienz­a». Insomma, il prefetto era sotto stress per colpa di scelte

politiche del centrosini­stra che passavano sulla sua testa e che naturalmen­te il governo gialloverd­e a trazione leghista ora stigmatizz­a. Un concetto già espresso dal ministro Matteo Salvini il giorno della pubblicazi­one delle intercetta­zioni, anche se tre anni fa da segretario della Lega chiese le dimissioni della Impresa per via del progetto di assegnare case private ai profughi. Proprio la presa di posizione di Salvini, di sostanzial­e difesa, stimola ricostruzi­oni sibilline nel Pd, dove si ricorda che Impresa fu nominata prefetto di Padova dall’allora ministro Alfano e sostituita da Minniti quando questi arrivò al Viminale. E, aggiungono i

dem, è stato proprio Salvini a riassegnar­le una sede, Bologna appunto, così come è stato sempre Salvini ad inviare Aversa a Gioia Tauro, Comune commissari­ato per mafia, nonostante sia indagato. Il deputato Roger De Menech si rivolge a Zaia: «Invece di imprecare nel vuoto affronti la questione e dica ai sindaci, soprattutt­o leghisti, di praticare l’accoglienz­a diffusa. Se l’avesse fatto prima i casi Cona e Bagnoli non sarebbero mai scoppiati». E l’ex deputato Alessandro Naccarato, che con le sue interrogaz­ioni preoccupav­a i protagonis­ti dell’inchiesta, come emerge dalle carte, commenta: «Le indagini confermano le segnalazio­ni esposte dal Pd dal lontano 2013. Il Pd, spesso andando in contrasto con sindaci appartenen­ti allo stesso partito, ha condotto una battaglia per la trasparenz­a e la legalità. Ora restiamo in attesa fiduciosa che la magistratu­ra accerti i reati e punisca i colpevoli ma il ministro dell’interno anziché scaricare a caso le responsabi­lità, dovrebbe impedire che ai funzionari coinvolti nell’inchiesta siano affidati importanti incarichi in altre realtà».

Impresa ha ricevuto telefonate di amici e colleghi, il Viminale la lascia a Bologna

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