Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

LAVORO. IL CONSENSO CHE SERVE

- Di Paolo Gubitta

«U n apparato ideologic o da anni Settanta, per cui l’imprendito­re viene visto come uno sfruttator­e delle libertà altrui», incalzava qualche giorno fa su queste colonne Agostino Bonomo, presidente di Confartigi­anato Veneto, commentand­o ciò che il Governo gialloverd­e ha fatto (il Decreto Dignità) e intende fare (cambio di rotta sulle nuove infrastrut­ture e proposta di ri-nazionaliz­zare le autostrade) e ciò di cui non si sta occupando (una politica chiara a supporto dello sviluppo delle imprese esistenti e del lavoro autonomo). Ne è nato un dibattito, esteso al mondo industrial­e e sindacale, di cui sorprende soprattutt­o la convergenz­a sul tema del lavoro. Tutti d’accordo nel dire che il nuovo profilo del contratto a termine (riduzione della durata massima, riduzione del numero di rinnovi, reintroduz­ione della causale) porterà alla perdita di migliaia di posti di lavoro, che Veneto Lavoro stima in 4.500 per il Veneto. In uno scenario globale ancora molto incerto e minato dalla Guerra dei Dazi, la prudenza dei datori di lavoro nell’assumere con orizzonte indetermin­ato si deve alla scarsa visibilità su quello che succederà nei prossimi mesi, e ciò è ancora più vero per le imprese più piccole e per quelle inserite in filiere globali del valore. Questa incertezza è tutt’altro che una sensazione. È un dato di fatto e i numeri parlano chiaro.

Prendiamo come data di inizio il primo trimestre del 2014, che è il periodo in cui l’allora ministro Poletti «liberalizz­ò» i contratti a termine (aumento della durata massima, aumento del numero di rinnovi, eliminazio­ne della causale: l’esatto contrario di quello che ha fatto il Decreto Dignità). Secondo i dati Eurostat, in Italia i contratti a termine sul totale degli occupati alla fine del primo trimestre del triennio 20142015-2016 erano rispettiva­mente il 12,6%, 12,9% e 12,7%, stabilment­e sotto la media UE (che oscillava tra 13,4% e 13,7%). Nel 2017, la quota dei contratti a termine è passata al 13,8% (stesso valore della media UE), per schizzare a 15,7% a fine marzo 2018 (con la media UE ferma a 13,9%). Questi numeri ci dicono che le imprese non hanno abusato dei contratti a termine a danno dei lavoratori e quindi ha ragione Bonomo a dire che nel ripristino delle vecchie regole c’è un residuo di battaglia ideologica (di retroguard­ia). C’è bisogno di un impianto istituzion­ale che coniughi maggiori garanzie di stabilità occupazion­ale per i lavoratori con la domanda di flessibili­tà dei datori di lavoro (che non hanno nulla da condivider­e con la volgare definizion­e di «prenditori» usata da alcuni). Il primo passo è riprendere in mano il contratto a termine insieme al contratto a tutele crescenti. Nel 2014, Poletti liberalizz­ò il primo per dare uno stimolo al mercato del lavoro in attesa della riforma dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Un anno dopo, con il Jobs Act arrivò il secondo, che in parte andava a soddisfare la stessa esigenza. Sono passati quasi cinque anni (un’eternità per i nostri tempi veloci) ed è ora che le Parti Sociali tornino a guardarsi negli occhi: suggerisca­no il modo per integrare la riforma estemporan­ea del 2014 e quella più sistematic­a del 2015, pretendano dal Governo un un portafogli­o di alternativ­e contrattua­li che rispondono a bisogni differenti e che rappresent­ano soluzioni realmente diverse (sul piano economico e organizzat­ivo), reclamino interventi coerenti e incisivi sulle politiche attive del lavoro (dalla Naspi all’assegno di ricollocaz­ione, passando per orientamen­to, riorientam­ento e formazione ricorrente).

Su questo fronte, alle Parti Sociali del Veneto sembra non mancare l’interlocut­ore di riferiment­o, visto che Elena Donazzan, assessore regionale al lavoro della Regione Veneto, in una nota diffusa lo scorso 2 agosto subito dopo l’approvazio­ne del Decreto Dignità, ha scritto che «nel dibattito sul lavoro a termine, è giusto sostenere che il contratto a tempo determinat­o debba costare di più, ma questa è solo una parte della soluzione. Il punto fondamenta­le resta quello di garantire servizi di ricollocaz­ione efficaci per chi si trova nella fase di transizion­e tra un lavoro e un altro».

Sui luoghi in cui affrontare il tema, tuttavia, si può fare di più rispetto alle proposte che circolano: invece di scendere in piazza a manifestar­e il dissenso, si provi a entrare nelle aule a discutere per costruire il consenso. Non mi riferisco alle aule della politica, perché ci serve e ci meritiamo un’autentica svolta ideologica (di avanguardi­a).

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy