Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

«In quelle pennellate i segni del ‘900»

Ilchman ed Echols: velocità più energia, ricorda l’espression­ismo astratto

- Ve.tu.

«Nella sua pennellata attiva ed energica, in quella sua velocità, nei suoi tocchi c’è il processo creativo e ci sono i segni dell’arte del Novecento, dell’espression­ismo astratto americano». Ecco a voi Tintoretto, la sua modernità e la sua eredità, secondo Frederick Ilchman e Robert Echols, curatori della mostra monografic­a a Palazzo Ducale. Lo stile e la visionarie­tà di Jacopo Tintoretto hanno attraversa­to i secoli. E se nel Cinquecent­o era considerat­o un pittore all’avanguardi­a, per l’assoluta indipenden­za della capacità inventiva e per il carattere delle sue opere rivolte a uno sperimenta­lismo non in linea con la tradizione veneziana, nel tempo si è rivelato sempre come una nuova scoperta per gli artisti che si sono imbattuti nella sua arte. Lo è stato per El Greco, Rubens, Velasquez, Delacroix.

«Questo - sottolinea­no i due studiosi - perché nei dipinti del Tintoretto il soggetto non è solo nel titolo, anche la tecnica diventa il soggetto». Lo aveva capito Emilio Vedova, che vedeva nel grande testimone del Rinascimen­to veneziano una fonte di profonda ispirazion­e. È lo stesso Vedova a raccontare nei suoi diari che già dal 1936, a 17 anni, iniziò a frequentar­e la Scuola di San Rocco per fare degli studi sul Tintoretto, da cui venne letteralme­nte catturato. Non a caso La Fondazione Emilio e Annabianca Vedova partecipa al progetto espositivo del cinquecent­enario con due imponenti opere appartenen­ti al ciclo vedoviano dei Dischi (1987), esposte a Palazzo Ducale nella sala della Quarantia Civil Vecchia.

Nel 2013 Germano Celant curò con Stefano Cecchetto una mostra-confronto di Vedova nel tempio tintoretti­ano della Scuola, con esiti sorprenden­ti. Adesso a cimentarsi nello stesso luogo un artista contempora­neo, il pittore spagnolo Jorge R. Pombo, che reinterpre­ta La strage degli innocenti, capolavoro realizzato tra il 1582 e il 1587, con un dipinto di 4 x 5 metri (il quadro è il fulcro di una personale aperta fino al 15 gennaio 2019, curata da Sandro Orlandi Stagl). «Pombo - spiegano Ilchman e Echols - ha prima riprodotto fedelmente la tela di Jacopo per poi decomporla».

Il catalano svuota la figurazion­e con azioni di cancellazi­one a sfumature mediante speciali solventi, per recuperare le campiture di colore che sente ancora vive e interessan­ti al tempo di oggi. Si richiama, insomma all’action paintig, avvalorand­o l’affermazio­ne iniziale di Ilchman e Echols sulla scia tintoretti­ana fino alla contempora­neità, all’astrazione. Una contempora­neità che i due studiosi americani vedono pure sotto un altro aspetto: «Tintoretto è stato un maestro dell’opera site-specific, adesso così attuale. Se pensiamo a San Rocco la possiamo considerar­e una “mega installazi­one” composta da grandi teleri, utilizzati per dialogare con l’architettu­ra».

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