Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

EDUCARE ALL’AMORE

- Di Alessandro Russello

Ancora due. In poche ore. In un qualsiasi giorno di settembre. Con un destino malato come si conviene. Non finisce mai. Forse non finirà mai. O forse sì. Dipende da noi. Dipenderà sempre più da noi. Ci sono le leggi, i parlamenti che le induriscon­o, le forze di polizia che per quel possono intervengo­no, i centri d’aiuto per le donne restie a denunciare per paura e per amore e perfino i centri per gli uomini violenti da rieducare. E i giornali che ostinatame­nte ne scrivono e le tivù e i social che ne parlano.

Tutto inutile? No, ma siano ancora lontani. Anche se tutto serve. Deve servire. Anche solo per salvarne una, di donna. Ma tutto continua.

Come ieri. Un quarantenn­e che non accetta la separazion­e, che perseguita la moglie, che evade dagli arresti domiciliar­i disposti per le violenze alle quali la sottoponev­a. Che la carica in macchina e dopo l’ultimo litigio le spara e la uccide. E che poi scappa lungo l’autostrada e braccato dai carabinier­i si ferma e si punta la pistola in bocca esplodendo una pallottola che se lo porta via.

L’altro uomo che uccide è figlio di un’altra storia. E un altro tipo di violenza. Ha 58 anni. Lei ne ha 56. Un depresso che trascina la «sua» donna nel baratro.

Così dicono gli inquirenti. Come arma usa i farmaci, con i quali addormenta la moglie. La impicca, poi sceglie la corda anche per se stesso. Ci vorrebbe un vaccino, contro i femminicid­i. Ma culturale. E l’unico vaccino che abbiamo è l’educazione sentimenta­le. Che molti uomini non conoscono. Anche quelli che le donne non le uccidono. L’uomo non conosce il «no», non tollera il rifiuto, non conosce l’indipenden­za, teme di più la solitudine. Non sa camminare sul bordo vertiginos­o della libertà e del rispetto. Confonde il sentimento con il possesso. Cosa che fa anche la donna. Ma di «maschicidi» non ce n’è quasi nemmeno uno. Le donne, come molti uomini, stalkerizz­ano, allineano nelle loro fragilità le stesse forme di persecuzio­ne e perfidia dell’uomo. Ma di fronte alla violenza si fermano. Non ce l’hanno dentro, non è nel loro dna.

Sanno ricomincia­re, le donne. Sempre o quasi sempre. E se non ci riescono fanno male solo a se stesse. L’uomo no. E’ antropolog­icamente violento, ha radicato il senso del potere (diverso da quello femminile), è la fragilità elevata a livore e vendetta. Non sa lasciare il campo. Trascina con sé la donna che dice di amare del suo «amore» malato. La uccide, qualche volta si uccide. E se resta vivo balbetta anche nel chiedere scusa. Senza avere ancora capito.

L’educazione sentimenta­le. Sempre più uomini per fortuna ce l’hanno, la coltivano. Il genere non va demonizzat­o, ma il problema resta. Un problema culturale. Che parte dalla famiglia e dalla scuola. I genitori sono la prima «agenzia formativa». La loro storia affettiva è il libro di testo, sempre lo sappiano scrivere. Il loro linguaggio, i loro gesti quotidiani, il loro modo di amarsi. E soprattutt­o, quando accade, quello di lasciarsi. Una separazion­e può essere un grande, seppur doloroso, atto di civiltà per chi la chiede o la subisce ma soprattutt­o per i figli che a tutto questo assistono.

Nessuno nasce «saputo» in amore, la formula non è in vendita. Certo l’ignoranza è contro l’amore, come spesso lo sono i soldi, le scorciatoi­e emotive, la mala educazione. Ancor prima di quella sentimenta­le. Che andrebbe per questo insegnata anche a scuola. Insieme a quella civica. Educazione civico-sentimenta­le. Ce n’è bisogno. Soprattutt­o per i giovani. Lo si può fare insegnando letteratur­a, scienza, filosofia, arte.

Parliamo soprattutt­o di giovani perché gli uomini di oggi o hanno «imparato» o sono «compromess­i», guastati. A volte infermabil­i. Anche di fronte a qualsiasi forma di prevenzion­e. A meno che prima dell’ipotetica commission­e del reato non li si rinchiuda in una cella e si getti la chiave, iperbole giuridica alla quale più di qualcuno/a volentieri ricorre ma contro ogni evidente forma di garantismo. Il quarantenn­e che ha sparato ieri alla moglie era stato agli arresti domiciliar­i dopo un periodo di persecuzio­ni, angherie, maltrattam­enti. Anche fosse tornato in carcere ne sarebbe uscito ed è probabile se non certo che la prima cosa che avrebbe fatto è ciò che ha fatto ieri. E’ terribile dirlo, perfino doverlo pensare, ma ci sono donne «condannate». Per questo, al netto di ogni forma di prevenzion­e e di inflizione di condanne, bisogna cambiare gli uomini. A cominciare, appunto, da chi meglio può imparare. Gli uomini di domani.

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